Le porte girevoli al Ministero della Salute ora diventano un caso. A scatenarlo sono le dimissioni di Andrea Urbani. Potente direttore generale della programmazione sanitaria al ministero della Salute, Urbani sarà il nuovo amministratore delegato dell’ospedale San Raffaele di Milano, fiore all’occhiello del Gruppo San Donato, leader nella sanità privata italiana con 1,6 miliardi di fatturato. Urbani passerà dal dirigere l’ufficio in cui si decidono le tariffe dei rimborsi che le Regioni versano agli ospedali privati convenzionati a guidare una delle imprese che ne beneficia maggiormente.

Il rischio del conflitto di interessi è evidente, tanto è vero che una norma introdotta dal governo Monti nel 2012 vieta questo tipo di passaggi. A quella legge ora si appella il sindacato dei medici Anaao. «La norma – spiega il segretario nazionale Piero Di Silverio – prevede che chi ha avuto poteri autoritativi o negoziali nella pubblica amministrazione, una volta cessato il rapporto con lo Stato per tre anni non possa occupare simili incarichi nelle imprese private di cui prima era interlocutore». Senza questo disincentivo, il dipendente pubblico potrebbe sfruttare la situazione di potere per ingraziarsi un’impresa privata in cambio di una futura collaborazione.

PER QUESTO l’Anaao ha chiesto all’Autorità nazionale anti-corruzione di pronunciarsi sulla legittimità del trasferimento. «Non è tanto una questione di legalità quanto di opportunità: non abbiamo alcuna rimostranza sul comportamento di Urbani al ministero, ma sarebbe bene che questi movimenti tra pubblico e privato non avvengano». Invece accadono spesso: non ci sono controlli? «L’Anac non interviene d’ufficio. E in questo ambito ci sono molti casi borderline, al confine tra il consentito e l’illegittimo».

Urbani, di professione commercialista, è considerato uno degli uomini più influenti nel Servizio sanitario nazionale. Da cinque anni era il direttore generale della programmazione sanitaria al ministero e la sua destinazione futura era nota da tempo, dicono i ben informati al Ministero. Fino al 2017 è stato sub-commissario della sanità calabrese, ruolo mantenuto per quattro anni nonostante l’avvicendamento di altrettanti commissari. Anche il suo passaggio dalla sanità calabrese a quella romana fu oggetto di polemiche per i potenziali conflitti di interesse visto che a Roma avrebbe dovuto, secondo un’interrogazione dell’epoca dalla deputata ex-M5S Dalila Nesci, «adottare decisioni su atti e attività riferibili alla propria gestione commissariale della sanità calabrese».

A FINE LEGISLATURA, tornerà al San Raffaele anche il sottosegretario alla salute Pierpaolo Sileri. Pure lui, almeno sulla carta, è a rischio di conflitto di interesse. E non per la partecipazione al comitato scientifico del fondo svizzero Gksd guidato dal finanziere tunisino e vicepresidente del Gruppo San Donato Kamel Ghribi, rivelata dall’Espresso ma che partirà solo a fine mandato come ha già chiarito il sottosegretario.

Al ministero, Sileri mantiene la delega sugli atti relativi «al finanziamento e al cofinanziamento pubblico-privato e alla valorizzazione del ruolo dei ricercatori e del personale addetto alla ricerca, anche attraverso la collaborazione con altri enti italiani, esteri e internazionali, nonché le altre attività inerenti agli Irccs». La sigla sta per «Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico» e si riferisce alle 51 strutture di eccellenza pubbliche e private (tra cui il San Raffaele) che ricevono aiuti pubblici per le attività di ricerca. È l’ufficio di Sileri a decretare l’ingresso degli ospedali nel ristretto club con i relativi vantaggi. «Ma per correttezza gli atti relativi al San Raffaele e a tutte le strutture del Gruppo San Donato non li firmo io e finiscono direttamente sul tavolo del ministro», chiarisce il sottosegretario riconoscendo la delicatezza del tema. A differenza di Urbani, è bene precisarlo, Sileri non corre rischi di incompatibilità sul piano giuridico al rientro in ospedale.

Le fughe e i rientri di cervelli tra pubblico e privato ci sono in tutti i campi. Ma in ambito sanitario, dove lo Stato deve vigilare affinché profitto e salute non entrino in collisione, il tema è assai delicato. E infatti i maggiori scandali si registrano nel settore regolatorio, dove i ruoli tra controllori e controllati dovrebbero essere chiaramente distinti. Invece, in tempi recenti (2015) proprio all’Agenzia italiana del farmaco è capitato che il presidente Sergio Pecorelli dovesse dare le dimissioni, visto che nel frattempo era anche consulente di gruppi farmaceutici privati. Il principale fautore del suo allontanamento, l’allora dg Luca Pani, due anni dopo a sua volta disse addio all’Agenzia europea del farmaco, prima che essa rilevasse l’incompatibilità tra l’incarico pubblico e la posizione di direttore esecutivo della Neurocog, una società di servizi farmaceutici statunitense che collabora con Big Pharma in mezzo mondo.