Anticipata per ben due volte l’udienza, in una corsa contro il tempo scandito dallo sciopero della fame di Alfredo Cospito, la Corte di Cassazione si pronuncerà oggi sul ricorso contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza (TdS) che nel dicembre scorso ha confermato per il detenuto anarchico il regime di 41bis. Tre le possibili opzioni della corte di Legittimità: annullare il “carcere duro” per l’uomo che è attualmente ancora ricoverato all’ospedale San Paolo di Milano dopo il lungo digiuno cominciato il 20 ottobre scorso e mitigato da una decina di giorni con integratori e miele; rigettare il ricorso; oppure – evento più probabile in quanto a chiederlo è lo stesso Avvocato generale della Cassazione, Pietro Gaeta – accogliere le obiezioni della difesa, annullare la sentenza e rinviare gli atti al TdS di Roma per un nuovo esame. Scelta, quest’ultima, che l’avvocato Flavio Rossi Albertini, legale di Cospito, cerca di scongiurare spiegando che «la dilatazione dei tempi della decisione» sarebbe incompatibile «con le condizioni di salute del detenuto».

Ma non solo: secondo il difensore, se la parola tornasse al TdS c’è da aspettarsi una decisione identica alla precedente perché, afferma Rossi Albertini, sia «nel decreto applicativo che nell’ordinanza del TdS» gli atti «dimostrano plasticamente la violazione del principio di proporzionalità della risposta preventiva statale (ovvero invece di adottare lo strumento della censura per inibire al Cospito la possibilità di divulgare il proprio “estremismo ideologico”, il Ministro ha deciso direttamente di sottoporlo al 41 bis con la conseguente sospensione di tutte le regole trattamentali e quindi la compressione ingiustificata di diritti soggettivi)».

In poche parole, Rossi Albertini – che «finalmente» è riuscito ad entrare in possesso dei quattro pareri richiesti dal ministro Nordio prima di negare, il 9 febbraio scorso, la revoca anticipata del regime differenziato – rivela parte del contenuto di quei documenti e stigmatizza il fatto che l’attuale inquilino di Via Arenula per quel suo «no» politico abbia sorvolato completamente sul parere favorevole al trasferimento di Cospito nel circuito dell’Alta sicurezza, seppur con ulteriori restrizioni come la censura della posta, dato sia dal Capo dell’Amministrazione Penitenziaria che dal Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e dalla Dda. E abbia invece tenuto conto solo del giudizio della Procura generale di Torino, peraltro l’unica che, afferma l’avvocato, «non possedeva i requisiti funzionali per esprimersi in ordine al thema decidendum in quanto la medesima è organo giudiziario non deputato all’effettuazione di indagini», come «riconosciuto candidamente» dalla stessa autorità.

Dalla lettura di quei documenti (che il manifesto non ha potuto leggere) secondo Rossi Albertini «è la Procura Generale ad enfatizzare l’espressione “il mio corpo è la mia arma” che compare significativamente anche nel rigetto ministeriale». Ed è sempre il Pg di Torino che «si dilunga in un’operazione agiografica, un panegirico sulla figura del Cospito» tale da farlo passare come un «Che Guevara degli anni ’60 e ’70 del Novecento».