Quando un leader di partito esprime solidarietà a degli operai, come i 230 della Marelli di Crevalcore, è sempre un fatto positivo. Carlo Calenda è però poco avvezzo alla materia. Per formazione e ceto sociale lui le fabbriche è abituato a dirigerle. Come ministro dello Sviluppo del governo Renzi invece ha iniziato ad occuparsi di crisi aziendali solo mentre si avvicinava la campagna elettorale del 2018.

Lì fu la sua prima volta con gli operai. Erano quelli della Embraco di Riva di Chieri, poco fuori Torino, che produceva compressori per frigo. La proprietà – Whirlpool Latin America – delocalizzò la produzione in Slovacchia. Dopo mesi di lotta, Calenda annunciò trionfante: «Ci sono due società che faranno l’investimento nell’ex Embraco, riprendendo tutti i lavoratori con gli stessi diritti e le stesse retribuzioni senza nessun supporto di denaro pubblico».

La proposta di re-industrializzazione era della società italo-israeliana Ventures: avrebbe prodotto robot per la pulizia dei pannelli solari. Calenda poi si «autoinvitò all’assemblea dei lavoratori», in gran parte iscritti alla Fiom, come quelli di Crevalcore. Davanti agli operai rassicurò addirittura sul fatto che la società pubblica Invitalia, in caso di problemi, sarebbe subentrata.

Passarono pochi mesi e il bluff fu subito chiaro. Come nel 99% dei casi di crisi industriali, le promesse di nuove produzioni si rilevarono finte, i soldi pubblici elargiti (e intascati) veri. L’ex Embraco è uno dei tanti ruderi industriali, i suoi circa 400 operai – all’inizio della vertenza erano 500 – sono stati tutti licenziati. Nel frattempo ad aprile i soci italiani di Ventures hanno patteggiato una condanna a 4 anni per bancarotta a Bari.

Ecco perché oggi Calenda sarà accolto male a Crevalcore. Gli operai della Fiom (e non solo) hanno buona memoria.