Carceri in subbuglio, la spada di Damocle sul ministro Nordio
Carcere A Regina Coeli un «detenuto psichiatrico» appicca un rogo e due poliziotti ne fanno le spese. Le proteste che il governo non può ignorare. La violazione dei diritti dei detenuti e l’irritazione degli agenti sono un altro cuneo tra FI e Fd’I
Carcere A Regina Coeli un «detenuto psichiatrico» appicca un rogo e due poliziotti ne fanno le spese. Le proteste che il governo non può ignorare. La violazione dei diritti dei detenuti e l’irritazione degli agenti sono un altro cuneo tra FI e Fd’I
Un «detenuto psichiatrico» – per usare il gergo dei sindacati di polizia penitenziaria – domenica pomeriggio ha dato fuoco alla sua cella nel carcere romano di Regina Coeli. Risultato: due agenti intossicati e portati in ospedale. E ancora ieri «gruppi di detenuti armati di bastoni sono arrivati quasi allo scontro, sembra per stabilire il dominio nei traffici illeciti», denuncia l’Fp Cgil. Nelle stesse ore nel bolognese Dozza una rissa scoppiata tra reclusi ha lasciato contusi tre poliziotti penitenziari, e a Castrovillari un incendio appiccato da un detenuto avrebbe costretto un agente alle cure del pronto soccorso. Riavvolgendo il nastro troviamo poi un 17 agosto di paura, a Bari, per un’infermiera che è stata «presa brevemente in ostaggio e, per fortuna, senza conseguenze fisiche» da alcuni detenuti durante una protesta, stando sempre a quanto denunciato dai vari sindacati della penitenziaria. Mentre il 16 agosto anche l’Istituto per minori di Casal Del Marmo, a Roma, si è di nuovo infiammato diventando ancora teatro di risse e aggressioni al personale medico e di sicurezza, e «un poliziotto è stato preso a pugni e un altro ha riportato tagli all’addome con una lametta».
È SEMPRE DIFFICILE riferire l’esatta dinamica delle «rivolte», come le chiamano gli operatori di polizia e gli esponenti della maggioranza di governo, o «proteste», come esorta a definirle il Garante regionale dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia, scoppiate nell’opacità delle prigioni. Basti ricordare che quelle del marzo 2020, che durante il primo lockdown da Covid 19 dilagarono in ben 57 istituti senza alcuna coordinazione o regia, si conclusero con un bilancio di 13 reclusi morti. E la commissione ispettiva incaricata dal Dap impiegò due anni per concludere la verifica dei fatti e confermare con lode quanto riferito a caldo dagli agenti presenti. Tanto più difficile però se, con un tempismo invidiabile, la maggioranza di governo si è intestardita nel voler creare la nuova fattispecie di reato della «rivolta» (per ora introdotta nel testo del ddl Sicurezza dalle commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera), nel quale il recluso – adulto o minore che sia, in carcere o nei centri per migranti e rifugiati – può incorrere anche se mette in atto un’azione di resistenza passiva ad un ordine imposto. E tre mesi fa un decreto ministeriale di Nordio ha istituito il Gruppo di intervento operativo (Gio), un reparto specializzato della Polizia penitenziaria per sedare le rivolte in carcere.
MA PREMESSO QUESTO, non vi è dubbio che le carceri e chi vi vive all’interno, per lavoro o per scontare una pena, siano diventate una polveriera. Pronta ad essere innescata. Come potrebbe essere altrimenti, con 66 suicidi dall’inizio dell’anno e se mediamente sono ammassati 130 detenuti in 100 posti, secondo i dati ministeriali registrati il 31 luglio 2024, con punte di sovraffollamento ufficiale del 144% in Puglia (ma la percentuale aumenta se si considerano i posti realmente disponibili), seguita da Lombardia al 143% e Friuli-Venezia Giulia al 140%. Chiusi nelle celle, senza ventilatori. Senza lavoro, senza impiego, senza prospettive di ritornare in società riabilitati a pieno titolo. Senza visibilità. E senza alcun diritto alla salute, come nota l’associazione Coscioni che «ha inviato 102 diffide della Direzioni generali delle Aziende sanitarie locali delle città dove si trovano i 189 istituti penali italiani».
E come potrebbe essere altrimenti se in un carcere come quello di Taranto, per esempio, di notte a sorvegliare 960 detenuti rimangono al massimo 7 o 8 agenti. Perché la carenza di organico a livello nazionale viene stimata ben oltre le 11 mila unità (i sindacati parlano di 18 mila), al punto che ben poca roba appaiono le mille nuove assunzioni programmate nei prossimi tre anni dal Decreto carceri.
UNA POLVERIERA CHE ora aggrava il divario tra la destra più manettara del governo Meloni (cioè la quasi totalità) e quella che tenta di recuperare (per qualsiasi calcolo politico o per una supposta rediviva convinzione) l’eredità garantista che fu della destra liberale della Seconda Repubblica. Entrambi tirati per la giacchetta dai loro rispettivi referenti politici o sociali, in ogni caso nessuno – né Forza Italia da una parte, né Fd’I e la Lega dall’altra – potrà ancora tentare di ignorare l’emergenza carceri. Le Convenzioni internazionali, prima di tutto, non lo permettono. Perciò, che siano rivolte o proteste, la soluzione «edilizia penitenziaria» o privatizzazione dell’esecuzione penale non sarà sufficiente a neutralizzare la spada di Damocle appesa sulla testa del ministro della Giustizia. Nordio lo sa, settembre è vicino.
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