«Grazie alla Procura generale di Torino, dopo anni di disinteresse, le indagini sui fatti accaduti nel carcere d’Ivrea dal 2015 al 2016 hanno ora portato a 25 avvisi di garanzia recapitati ad agenti penitenziari, funzionari e medici in servizio alla Casa circondariale eporediese e accusati, a vario titolo, di lesioni e falsi aggravati per le presunte violenze su alcuni detenuti». L’associazione Antigone, che accoglie così la notizia diramata ieri da La Stampa, segue da anni i casi di presunte violenze e, come spiega l’avvocata Simona Filippi che per l’associazione segue il contenzioso legale, a suo tempo aveva già «presentato alcuni esposti alla Procura di Ivrea, anche a seguito delle denunce presentate dal Garante comunale della città piemontese. Nei mesi successivi – continua Filippi – abbiamo registrato un sostanziale immobilismo da parte della Procura eporediese che portò a ben due richieste di archiviazione a cui ci opponemmo. Proprio a seguito di quello che, a nostro rilievo, era un mancato esercizio dell’azione penale, chiedemmo l’avocazione delle indagini al Procuratore generale presso la Procura di Torino». Ora, due anni dopo, arriva la notizia degli avvisi di garanzia emessi dai Pg Giancarlo Avenati Bassi e Carlo Maria Pellicano.

SAREBBERO una decina i casi di detenuti pestati da poliziotti penitenziari, con la complicità di alcuni sanitari, per i quali si potrebbe arrivare a processo. Le 25 persone indagate sono accusate di violenze sui reclusi e falsificazione di perizie e referti medici. Secondo l’accusa mossa dai pm, per esempio, nel novembre 2015 il medico di turno nel carcere avrebbe assistito al pestaggio del detenuto Ahmed Alì da parte di almeno quattro agenti di polizia penitenziaria mentre altri due lo tenevano fermo. Il referto medico che attesta le lesioni riportate dalla vittima è agli atti del fascicolo, ma il medico indicato dagli inquirenti avrebbe continuato a sorseggiare una bevanda presso il distributore automatico mentre il detenuto veniva colpito con calci e pugni invece che «impedire l’evento come sarebbe stato suo obbligo» o avvisare «immediatamente il comandante di polizia penitenziaria».

E POI ANCORA altri casi di reclusi seviziati da agenti che avrebbero successivamente stilato false relazioni di servizio, attingendo ogni volta a quel catalogo di giustificazioni divenuto stucchevole perfino nelle fiction: «Il detenuto perdeva l’equilibrio sul pavimento reso scivoloso dall’acqua utilizzata per spegnere i focolai accesi da alcuni detenuti in sezione e sbatteva la faccia contro la cella»; «il detenuto, mentre si trovava nella saletta d’attesa dell’infermeria, cominciava a sbattere violentemente la testa contro un vetro pronunciando testuali parole: Ora mi faccio male così vi rovino, pezzi di m…», etc. Nel 2016 il carcere di Ivrea era stato segnalato anche dal Comitato per la Prevenzione della Tortura e dal Garante nazionale dei detenuti dopo alcune ispezioni. Tutti gli agenti accusati «negano con fermezza ogni addebito», ha fatto sapere ieri l’avvocato Celere Spaziante che li difende.

«SE I FATTI fossero confermati – afferma Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – saremmo pienamente di fronte alla fattispecie di tortura». Formalmente però il reato non può in ogni caso comparire tra le ipotesi accusatorie perché la legge che lo ha introdotto nel nostro ordinamento (n°110 del 14 luglio 2017) è successiva ai fatti contestati. «Fortunatamente oggi questo reato c’è e ci consente di perseguire pienamente chi commette questi crimini, nonostante ci sia ancora chi ritiene che sia di impedimento ai poliziotti nello svolgimento del proprio lavoro», continua Gonnella che conclude rivolgendosi a tutte le forze politiche affinché si esprimano sul tema «e, soprattutto, rispetto a quello che deve essere la pena in una società democratica».