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Carcere e droghe, inizia la traversata del deserto

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Fuoriluogo La rubrica settimanale anti proibizionista. A cura di autori vari

Pubblicato più di un anno faEdizione del 28 giugno 2023

Il 26 giugno abbiamo presentato il quattordicesimo Libro Bianco sulle droghe e vengono confermati i dati che producono la catastrofe del carcere e la crisi della giustizia. Cresce la popolazione detenuta, aumentano gli ingressi dei soggetti definiti tossicodipendenti (15.509 su un totale di 38.125, pari al 40,7%) a cui si aggiungono 9.961 persone, pari al 26,1%, entrate in carcere per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.

Le segnalazioni al prefetto per consumo di droghe, dal 1990 a oggi superano il milione e quattrocentomila unità, di cui un milione per cannabinoidi.

Sui 56.196 detenuti presenti al 31 dicembre dello scorso anno, 19.283 in violazione della legge sulle droghe, pari al 34,3%, e 16.845, pari al 30%, erano i tossicodipendenti.

Un quadro terrificante aggravato dal fatto che non è disponibile il dato relativo ai fatti di lieve entità, che darebbe l’esatta misura della gravità della cosa.

La deputata Montaruli di Fratelli d’Italia ha annunciato una proposta di legge contrapposta a quella di Riccardo Magi, già discussa nella scorsa legislatura e ripresentata con il n. 71, per aggravare le pene proprio per i fatti di lieve entità.

Il numero delle misure di comunità cresce, compresa la messa alla prova durante il processo, con la caratteristica classista di separare all’origine chi ne è meritevole da chi entra in carcere ed è destinato a starci fino all’ultimo giorno di pena. Si è estesa l’area del controllo penale, che neanche nella peggiore delle distopie sarebbe potuta arrivare a quasi centoquarantamila detenuti, quante sono oggi le persone a diverso titolo sottoposte a misure penali, detentive e non.

Che cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? Gli annunci sono preoccupanti.

Abbaieranno alla luna, ma le minacce sono forti e la proposta del sottosegretario Delmastro di trasferire i detenuti tossicodipendenti in comunità chiuse come San Patrignano suona come un ricatto per le strutture democratiche e non salvifiche.

Riguarda il carcere e quindi la politica sulle droghe che crea il serbatoio della detenzione sociale la proposta di modifica dell’art. 27 della Costituzione, che rappresenta un valore fondamentale della concezione della pena. La proposta è stata ripresentata dal deputato Cirielli con il n. 285 (nella scorsa legislatura la prima firmataria era Giorgia Meloni) e subordina la funzione rieducativa della pena a indeterminate e indeterminabili necessità di difesa sociale.

Alessandro Margara con l’ironia sferzante che manifestava in alcune occasioni, scrisse l’articolo 27 come immaginava lo volesse il ministro Angelino Alfano:” Le pene possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono limitarsi, senza altri scopi, a contenere il condannato per il tempo necessario all’esecuzione della pena”. Non avrebbe immaginato certo che da parte del partito che esprime il Presidente del Consiglio si scrivesse, non per scherzo, il terzo comma così: “La pena (al singolare, ndr), che non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, assicura la giusta punizione del reo per il fatto commesso e la prevenzione generale e speciale del reato e deve tendere, con la collaborazione del condannato, alla sua rieducazione. Sono stabiliti con legge i limiti della finalità rieducativa in rapporto con le altre finalità e con le esigenze di difesa sociale”.

Tutt’altra cosa sarebbe la realizzazione di “Case di reintegrazione sociale”, piccole strutture nella responsabilità delle amministrazioni locali per accogliere i condannati con un fine pena sotto i dodici mesi, con un duplice obiettivo, ridurre il sovraffollamento (sono oltre settemila le persone in questa condizione) e realizzare davvero una giustizia di comunità, non retorica e velleitaria. Anche questa proposta è depositata alla Camera dei deputati con il numero 1064.

Come si diceva una volta, sappiamo tutto, bisogna agire.

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