Si allarga l’indagine sulle violenze e i pestaggi commessi sui detenuti nel carcere di Ivrea. Dopo quelli che sarebbero stati consumati tra il 2015 e il 2016 sui quali indaga ancora la Procura generale di Torino – che a settembre aveva avocato a sé il fascicolo, dopo che l’allora procuratore capo eporediese Giuseppe Ferrando aveva chiesto l’archiviazione delle indagini – ieri l’attuale procuratrice di Ivrea Gabriella Viglione (nominata a febbraio) ha dato notizia di 36 perquisizioni a casa e in carcere nell’ambito di una nuova inchiesta che coinvolge 45 persone tra agenti della polizia penitenziaria, educatori, medici, funzionari e direttori pro-tempore della locale Casa circondariale.

Tutti accusati a vario titolo di reati che vanno dalla tortura alle lesioni, minaccia e falso ideologico, per fatti che sarebbero stati commessi dal 2019 ad oggi. Un arco di tempo che motiva il fatto che i nuovi indagati, a differenza dei 25 raggiunti a settembre dagli avvisi di garanzia della Procura generale di Torino, possono essere accusati anche di tortura, perché questa fattispecie di reato è stata inserita nel nostro ordinamento nel 2017, prima quindi delle violenze contestate dai pm eporediesi.

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Sono decine i detenuti, o parenti di essi, che hanno presentato denuncia nel corso degli anni, come ha fatto lo stesso Garante dei detenuti della città piemontese grazie al quale venne aperta l’inchiesta sulle violenze perpetrate nel 2015 e nel 2016. In quel periodo la Casa circondariale di Ivrea venne segnalata anche dal Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura, mentre il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma dopo alcune ispezioni stilò un rapporto nel quale menzionava anche una «sala accanto all’infermeria» chiamata «Acquario», una sorta di “cella liscia” utilizzata come «cella di contenimento di natura afflittiva».

Un luogo sul quale si sono concentrati gli inquirenti: «Le indagini finora svolte – rende noto la procuratrice capo di Ivrea – hanno consentito di raccogliere precisi e gravi elementi probatori oggettivi che hanno fornito riscontro alle denunce prodotte nel corso degli anni, permettendo altresì di individuare la cosiddetta “cella liscia” nonché il cosiddetto “acquario”, celle entro le quali i detenuti venivano picchiati e rinchiusi in isolamento senza poter avere contatti con alcuno, nemmeno con i loro difensori».

«Con queste 45 persone – fa notare Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – sono oltre 200 gli operatori penitenziari attualmente indagati, imputati o già passati in giudicato all’interno di procedimenti che riguardano anche episodi di tortura e violenza avvenuti nelle carceri italiane. Un dato che ci racconta di un problema evidente che si riscontra negli istituti di pena dove, con troppa frequenza, da nord a sud emergono fatti di questo tipo».

Due giorni fa invece i giornali locali davano notizia dello stato di agitazione della polizia penitenziaria del carcere eporediese «per le violenze subite dai detenuti». E sindacati come la Uilpa Polizia penitenziaria colgono perfino l’occasione per dire che «il reato di tortura è costruito male».