Martedì riprende i suoi lavori la Commissione anti-discriminazioni del Senato. L’organismo, presieduto da Liliana Segre, la scorsa legislatura ha svolto un importante lavoro su vari temi.
Un lavoro importante su libertà di espressione, discorsi d’odio sui social, responsabilità delle piattaforme online. La ripresa dei lavori avverrà in un contesto difficile, la destra infatti, dopo un voto unanime sulla Commissione, ha procrastinato per mesi la sua costituzione. Inoltre a fine 2022 una grave crisi ha investito l’universo social, con migliaia di licenziamenti di lavoratori e manager, da Meta a Twitter, ma anche a soggetti globali come Amazon e Uber. Una crisi che la nuova Commissione non potrà non esaminare.

Nell’estate 2022 il Parlamento europeo aveva approvato sia la nuova legge sui servizi digitali (Dsa), sia quella sui mercati digitali (Dma), imponendo regole severe alle grandi piattaforme eppure, “le regole che la Commissione europea ha proposto un anno fa e che il Parlamento sta esaminando sono già tremendamente obsolete” (Riccardo Luna, La Stampa). Recentemente l’Antitrust italiana ha aperto un’istruttoria su Meta, con particolare riferimento al caso ChatGpt, cioè alla raccolta ‘a strascico’ dei dati personali necessaria all’insaziabile algoritmo che si nutre di pregiudizi o bias contro donne e minoranze. L’Antitrust ritiene “particolarmente urgente” rivedere, l’AI-Act, il Regolamento europeo sull’Intelligenza Artificiale (in particolare quella generativa). Esigenza condivisa in Germania, Francia, Canada e Australia.

Né è solo questione di diritti e tutele, perché il risvolto economico resta decisivo. Per Kate Crawford, fra i maggiori studiosi di intelligenza artificiale, questa non è un fatto di logica pura o di tecnica computazionale, presuppone “le forze sistemiche del neoliberismo sfrenato, delle politiche di austerità, della disuguaglianza razziale e del diffuso sfruttamento del lavoro”. Persino secondo Elon Musk l’IA “può comportare gravi rischi per l’umanità”.

Di recente hanno fatto scalpore le dimissioni da Google del “Nobel dell’informatica” Geoffrey Hinton per i “gravi pericoli” connessi allo sviluppo dell’IA. Come scrive Teresa Numerico sul manifesto “l’uso malevolo di questi strumenti è una sicurezza più che una possibilità”, perché l’uso malevolo dell’intelligenza artificiale è una certezza e un pericolo. Di qui la necessità “di una regolamentazione di queste tecnologie”.

Di certo il Parlamento deve essere presente e vigile e la Commissione Segre svolgere un lavoro strategico, a mezzo anche di una indagine conoscitiva su IA e algoritmi. C’è un problema di democrazia: “La politica è nel gorgo dell’algoritmo” ovvero “l’intelligenza artificiale manipola la politica” (Massimiliano Panarari, La Stampa), mentre sulla scena geopolitica internazionale si scatenano “social media wars” come il confronto USA-Cina su TikTok (considerata fattore di spionaggio, di trafugamento dati a favore di Pechino ecc.).

Il punto è che la “blackbox algoritmica” è funzione diretta di giganteschi interessi economici. Se ciascuno di noi è ‘profilato’, sviscerato nei suoi averi, nella sua esposizione e precarietà, nella sua solvibilità e affidabilità, nei suoi orientamenti e passioni, se l’IA è ormai capace di brain reading, cioè di leggerci nel pensiero, è chiaro che stiamo entrando in un’altra era dell’antropocene.
A fine marzo la rivista International Politics and Society ha pubblicato un articolo sul digital gender divide. La nuova frontiera digitale penalizza infatti particolarmente le donne, favorisce “odio sessista, troll di genere, disinformazione sulla diversità sessuale”. Di certo discorsi d’odio e interessi economici delle grandi piattaforme sono strettamente connessi in tempi di “data economy dominated by Big Tech” e “digital capitalism”.

Byung-Chul Han, teorico e critico della infocrazia, scrive che quando la “sfera pubblica decade a sfera privata” si realizzano “distorsioni e rotture all’interno del processo democratico”, viene meno ogni possibilità di trasformazione: “il like esclude qualsiasi rivoluzione”. Problemi dunque di diritti, di democrazia, di potere economico e finanziario. Per Byung “la democrazia è in pericolo”. Per Crawford trattare di algoritmi e IA significa occuparsi di “protezione dei dati”, “diritti dei lavoratori”, “disuguaglianza razziale”. C’è lavoro insomma per la nuova Commissione.