Nel giorno in cui riprende alla Camera, in commissione Giustizia, l’iter del ddl sulla coltivazione domestica della cannabis, Walter De Benedetto torna a sensibilizzare i parlamentari sulla condizione di quei malati che come lui sono trattati da criminali per aver coltivato marijuana in casa. E vale la pena prendere nota dei risultati dello studio dell’Agenzia europea per la droga (Emcdda), pubblicati ieri dal gruppo Score, condotto sulle acque reflue di 75 città europee nei 23 Paesi dell’Ue, oltre che in Turchia e in Norvegia, per indagare sui consumi di stupefacenti e sulle tendenze emergenti nel corso del 2021.

«La cannabis è la droga illecita più comunemente usata in Europa, con circa 22,1 milioni di consumatori l’anno scorso», si legge nel report che sottolinea come durante la pandemia, e i relativi lockdown, «la cannabis vegetale era una delle poche sostanze utilizzate più spesso» in Europa. Anche se l’Italia non compare tra le zone dove sono più presenti i residui di stupefacenti nelle acque reflue – tranne che per la cocaina in tutte le regioni del Nord – il metabolita della cannabis (Thc-Cooh) è stato trovato massicciamente in «Europa occidentale e meridionale, in particolare nelle città della Repubblica Ceca, Croazia, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo e Slovenia. Nel 2021 più di due quinti delle città (13 su 31) hanno segnalato un aumento dei carichi di Thc-Cooh nei campioni di acque reflue» rispetto agli anni precedenti.

Quanto alla cocaina, essa è ancora più diffusa nell’Europa occidentale e meridionale ma prende sempre più piede nell’Europa orientale, secondo questa tipologia di studi che, come ha spiegato il direttore dell’Emcdda Alexis Goosdeel, «negli ultimi dieci anni è passata da una tecnica sperimentale a strumento consolidato per il monitoraggio del consumo di droghe illegali in Europa». L’unica sostanza i cui residui sono diminuiti un po’ ovunque è l’Mdma, utilizzato soprattutto dai giovanissimi nei rave e nei luoghi del loisir.

Se questo è il contesto in cui viviamo in Europa, la war on drugs che ancora si combatte novecentescamente in Italia mostra tutte le sue crepe. Walter De Benedetto, che da 36 anni è affetto da artrite reumatoide e che l’anno scorso ha dovuto affrontare un processo per aver coltivato in casa alcune piantine per curarsi, torna, come aveva già fatto nel 2019 e nel 2020, a rivolgersi alle istituzioni per chiedere una «legge più giusta, per chi ne ha bisogno per alleviare il dolore, per chi è costretto a rivolgersi alle piazze di spaccio». «Ci sentiamo scoraggiati perché sembra che il nostro Stato preferisca lasciare 6 milioni di consumatori nelle mani della criminalità organizzata anziché permettergli di coltivarsi in casa le proprie piantine», aggiunge nel messaggio consegnato tramite il Comitato Cannabis Legale formato da Meglio Legale, Associazione Coscioni e Forum Droghe. De Benedetto ricorda che, a novembre a Genova, la Conferenza governativa sulle droghe si è conclusa facendo proprie «molte delle proposte che da anni la società civile avanza».

Dunque, «calendarizzare e approvare questo ddl sarebbe in linea con le raccomandazioni del governo». In effetti il testo sul quale ieri si è conclusa la discussione generale in commissione e che attende ora di essere emendato, legalizza la coltivazione domestica di 4 piantine di marijuana al massimo, inserisce la fattispecie di reato di lieve entità per i casi meno gravi di violazione dell’art. 73 della 3039/90, elimina la sanzione amministrativa (ritiro della patente) per i consumatori e sostituisce il carcere con lavori socialmente utili quando a produrre o spacciare sostanze è una persona tossicodipendente.

«Sono dalla tua parte, mi batto con te», risponde a De Benedetto il deputato M5S Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia che ha messo a punto il testo base e lo giudica un buon inizio perché, dice, «vuole guardare proprio a coloro che, come te, potrebbero avere una migliore qualità della vita se fossero superate preclusioni ideologiche incomprensibili».