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Canapa terapeutica, ultimo appello

Fuoriluogo La rubrica settimanale a cura di Fuoriluogo

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 1 novembre 2017

Sulla sorte della legge di legalizzazione della cannabis si è detto quasi tutto. Mondata di qualunque minima velleità di riforma reale, si è trasformata in un semplice riordino di norme già esistenti sulla cannabis terapeutica.

La bocciatura di due emendamenti che avrebbero depenalizzato la coltivazione domestica ad uso terapeutica, per pochi voti, è il segno di come questo Parlamento sia incapace di interpretare la società e le evidenze scientifiche. Sarebbe stata una soluzione «umanitaria», viste le enormi difficoltà che tuttora trovano i pazienti a reperire le preparazioni a base di cannabis. Ma il dibattito alla Camera si è dimostrato ancora inquinato dalla demonizzazione della pianta e dalla negazione del fallimento proibizionista.

Oltre al buon senso, esistono studi seri che hanno dimostrato come la disponibilità della cannabis terapeutica non solo faccia diminuire le prescrizioni di altri farmaci, ma abbia anche un effetto positivo sulla spesa sanitaria. I ricercatori dell’università della Georgia hanno analizzato i dati relativi alle prescrizioni del programma Medicare Usa (Part D) dal 2010 al 2013.

Il risultato è che l’uso dei farmaci di cui la marijuana è una valida alternativa clinica, come gli oppioidi, è fortemente diminuito negli stati dove è stata resa legale la cannabis terapeutica.

La diminuzione di spesa per lo Stato e per i pazienti è stata stimata nel 2013 in ben 165,2 milioni di dollari. Che potrebbero arrivare a mezzo miliardo di dollari di risparmio annuo se la marijuana medica fosse legale in tutti gli Stati degli Usa.

Negli Stati Uniti in preda ad una vera e propria crisi da abuso di oppiodi la riflessione scientifica, prima che politica, sta portando a valutare la cannabis come medicinale alternativo e molto meno pericoloso rispetto agli antidolorifici a base oppiacea. Molte ricerche in passato hanno messo in relazione la legalizzazione dell’uso terapeutico della cannabis alla diminuzione della ospedalizzazione dei pazienti e delle morti correlate all’uso di oppiacei.

Più recentemente alcuni ricercatori statunitensi hanno pubblicato sulla rivista American Journal of Public Health uno studio che ha associato anche la legalizzazione della cannabis ad uso ricreativo alla diminuzione delle morti connesse all’uso di oppiodi.

Esaminando la situazione in Colorado dal 2000 al 2015 i ricercatori hanno evidenziato come la curva di aumento tendenziale di morti si sia arrestata ed abbia cominciato a diminuire a partire dalla legalizzazione della cannabis ricreativa nel 2014.

In controtendenza rispetto al dato degli Stati Uniti si è determinata infatti una riduzione di morti connesse all’uso di oppiacei del 6,5%. Va detto che proprio dal 2014 il Colorado ha anche rafforzato i controlli sulle prescrizioni di oppioidi e reso più facilmente disponibile il naloxone. La diminuzione dei decessi per farmaci oppiacei è confermata nel 2016, anche se sono aumentate le morti per eroina.

Anche il Perù nei giorni scorsi ha legalizzato la cannabis terapeutica. La legge è stata promossa dal presidente conservatore Pedro Pablo Kuczynski, dopo che la polizia fece irruzione in un laboratorio improvvisato da un gruppo di madri per produrre olio di cannabis per curare i propri bambini epilettici.

La legge ora al vaglio del Senato è sicuramente deludente, ma ha due pregi. Sancisce nell’ordinamento italiano il diritto dei pazienti di curarsi con la cannabis e mette sotto la tutela legislativa un sistema ora retto in larga parte su decreti ministeriali. Per questo sarebbe scellerato che il Senato non la approvasse, anche così com’è.

Con l’auspicio che, finalmente, la legalizzazione della cannabis sia un tema di confronto aperto nella campagna elettorale per il prossimo Parlamento.

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