Camerati di merende
Una strage e un duplice omicidio firmati con la stessa atrocità. L’ipotesi di partenza di «Mdf», l’opera più completa sul mostro di Firenze. E se dietro quella vicenda si celasse una trama nera?
Una strage e un duplice omicidio firmati con la stessa atrocità. L’ipotesi di partenza di «Mdf», l’opera più completa sul mostro di Firenze. E se dietro quella vicenda si celasse una trama nera?
C’è una strage dell’agosto del 1944. A Vinca, ai piedi delle Alpi Apuane, battaglioni delle Ss e brigate nere rastrellano e massacrano civili: muoiono in 173, altri 1.600 vengono deportati in Germania. I dettagli sono da film dell’orrore: feti strappati dal ventre delle madri uccise, decapitazioni, umiliazioni di ogni genere. Impalamenti. Un fatto unico nella storia delle atrocità nazifasciste dell’ultima parte della guerra mondiale, quasi una firma dei fascisti toscani, sostengono gli storici.
Una firma che tornerà un’altra volta a palesarsi sotto un omicidio: è il 14 settemre del 1974, un sabato, e a Fontanine di Rabatta, frazione di Borgo San Lorenzo in provincia di Firenze, vengono uccisi Pasquale Gentilcore, 19 anni, e Stefania Pettini, di un anno più giovane. Lui a colpi di pistola. Lei, oltre ai proiettili, riceve anche decine di coltellate e infine viene impalata con un tralcio di vite. Stefania era comunista, figlia di un partigiano noto della zona del Mugello.
È DA QUI CHE uno scrittore, Roberto Taddeo, parte nella sua monumentale ricostruzione della storia dell’italian tabloid per eccellenza: il mostro di Firenze. MDF – La storia del mostro di Firenze (Mimesis Editore) rimette in fila i fatti per oltre mille pagine (vengono fuori tre volumi, il primo uscito a luglio, gli altri due in arrivo in autunno) e parte da qui, dalla pista nera, dando seguito all’intuizione avuta dallo storico Francesco Maria Petrini, che ha coniato l’appellativo «Legionari di merende» per i responsabili della lunga serie di omicidi che hanno insanguinato le campagne toscane tra il 1968 e il 1985.
Un arco temporale lunghissimo – e sul quale peraltro non c’è concordia – che ha cambiato la cronaca nera e il modo di affrontarla, tra prassi investigative in continua evoluzione (anche l’Fbi americana si occuperà del caso, rimediando una serie di brutte figure) e fenomeni di costume. A un certo punto, infatti, l’Italia degli amanti e delle coppiette era terrorizzata dall’eventualità, non così remota, che durante i propri momenti di intimità potesse palesarsi un feroce assassino. Ma c’è anche altro.
SOSTIENE Taddeo: «È possibile che qualcuno, in quel clima di guerra civile addormentata, dove in un attimo le istanze collettive micro-sovversive si mischiano a revanscismi del tutto personali, abbia avuto la scellerata idea di punire il partigiano Andrea Pettini, proprio nella settimana della ricorrenza della Liberazione, e cioè della sconfitta definitiva del fascismo e, soprattutto, dei fascisti stessi nel Mugello, uccidendogli la figlia e umiliandone il cadavere, come avevano fatto, anni prima, i nazifascisti poco lontano da quelle zone?».
Per rispondere a questa domanda c’è un dato di cronaca (l’11 settembre del 1974, tre giorni prima del delitto, ricorreva il trentennale della liberazione di Barberino di Mugello e dei comuni limitrofi, tra cui Borgo San Lorenzo) e un personaggio che in seguito apparirà in molti dei sentieri delle vastissime indagini sul mostro di Firenze: Giampiero Vigilanti, un ex legionario di Prato ormai ultranovantenne che è uscito da questa storia soltanto lo scorso febbraio, quando la procura di Firenze non ha voluto riaprire le indagini su di lui.
TADDEO lo sottolinea e lo lascia intendere. E ricorda anche altro, soprattutto l’attivismo dei neofascisti toscani nel 1974: il 4 agosto, del resto, a San Benedetto Val di Sambro si consuma la strage dell’Italicus. Siamo sempre lì, a due passi dal Mugello. È il «verosimile senza scrupoli» che, citando James Ellroy, evoca il costituzionalista Daniele Piccione nella sua introduzione al libro di Taddeo.
COME IN TUTTE le storie, e soprattutto quelle relative ai segreti italiani – Carlo Lucarelli sconsiglia di parlare di «misteri», perché quelli riguardano la fede – l’intreccio è molto più complicato, e la vicenda del mostro di Firenze si caratterizza soprattutto per la sua indeterminatezza, per l’abnorme numero di fili sparsi e quasi impossibili da riannodare. Perché il tempo passa e con lui passano anche le vittime, gli indagati, le persone informate dei fatti. E altri segreti si aggiungono e altre teorie prendono piede. C’è proprio un ramo del sapere dedicato all’argomento, si chiama «mostrologia» e coinvolge decine, forse centinaia di persone che dei delitti toscani ne sanno quanto e più degli investigatori e che spesso si lanciano in tentativi – più o meno bizzarri – di dare una risposta alla domanda che tutti si fanno: chi è il mostro di Firenze? In MDF, forse l’opera più completa sull’argomento, il tema non viene eluso ma quantomeno non c’è il tentativo di sostituirsi agli investigatori, che pure si sono alternati in gran numero intorno ai delitti del mostro senza venire mai a capo di nulla, o quasi.
Perché per raccontare una storia italiana come questo c’è bisogno prima di tutto di mettere ordine, un omicidio dopo l’altro, una pista dopo l’altra, là dove la verità giudiziaria finisce con lo scontrarsi con la verità storica. Tra compagni di merende, neofascisti in libera uscita, alta società toscana, gotico rurale delle colline e delle valli intorno a Firenze e costumi quasi ancestrali, la cronaca nerissima diventa ritratto del paese, dei suoi tic, dei suoi errori, delle sue paure. La verità giudiziaria parla di due condannati in via definitiva come esecutori materiali (Mario Vanni e il reo confesso Giancarlo Lotti) e Pietro Pacciani, condannato in primo grado, assolto in Appello e morto prima della sentenza di Cassazione. Manca tutto il secondo livello, i mandanti, o gli altri mostri che pure di certo sono esistiti: l’indagine è ancora ufficialmente aperta, ma è su un binario morto.
E PERÒ, nel litigiosissimo universo che ancora si occupa dei delitti delle campagne toscane, dove tutti hanno troppa voglia di discutere e una malsana tendenza a querelare, la verità c’è ma non si può scrivere. Le prove esistono, ma le sentenze, anche quelle definitive, non dicono abbastanza. Il mostro c’è. Ma non si vede.
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