Quando Giuseppe Conte parla di «cacicchi e capibastone», con riferimento al partito Democratico, denuncia problemi gravi e reali. Egli dimentica però che il suo partito offre storicamente ricette diverse ma con una caratteristica comune: sono parte del problema. E il problema è che non esistono più i partiti, o meglio, i partiti «di integrazione sociale», quelli che sono punto di riferimento di comunità locali, quelli che organizzano, articolano, rappresentano e mediano interessi, quelli che fanno crescere classe dirigente.

I capibastone pullulano in contesti segnati da due condizioni non alternative: territori ad alta disuguaglianza, e “partiti” che sono brand, e i cui esponenti rappresentano quindi cordate di cittadini anziché interessi più o meno organizzati. Ciò accade tanto nel Pd quanto nel Movimento 5 Stelle, con la differenza – evidentemente non secondaria – che nel Pd queste cordate di cittadini sono composte da elettori e guidate da notabili-quadri, mentre nel M5S sono composte da iscritti.

Il Pd ha dunque un problema di esposizione strutturale a fenomeni di voto di scambio (nel senso politologico; a volte anche in senso giuridico) e alla crescita e consolidamento di potentati locali che rendono il partito pressoché irriformabile. Il M5S ha invece un problema strutturale di irrilevanza territoriale. Questo in particolare accade perché, a differenza del Pd, è un partito personale (quindi con una militanza iper-conformista per cultura politica ed incentivi materiali), non plurale (quindi privo di strutture per elaborare i conflitti interni su basi politiche anziché personaliste) e che finisce per confondere ogni forma di costruzione territoriale del consenso con forme di «caciccato».

I “territori” poi sono da sempre visti dai vertici pentastellati come possibili centri concorrenti di potere o di critica, preferendo dunque ricorrere, ai fini del reclutamento di classe dirigente, a notabili di diversa estrazione, comunque alieni ad ogni idea di cura e rappresentanza di interessi, territoriale e non.

Il Pd è un partito strutturalmente più attento alle tornate elettorali locali, sia per motivi ideologici e identitari derivanti dalla tossica idea del partito perno del centrosinistra (speculare a quella berlusconiana), sia per i motivi organizzativi di cui sopra. Il M5S invece è un partito esclusivamente orientato a quelle tornate elettorali (nazionali ed europee) che inequivocabilmente misurano il consenso popolare del leader. Ogni altra elezione è pressoché sempre sacrificabile a meno che non abbia riverberi chiari a livello nazionale.

E però, nell’Italia degli ottomila comuni, il personale e le competenze politiche si sviluppano per la grandissima parte nelle istituzioni democratiche locali. A livello organizzativo, i partiti di destra non godono certamente di salute migliore rispetto a quelli di opposizione, ma certo godono di un atteggiamento decisamente più spregiudicato in termini di reclutamento notabilare, nonché di un contesto strutturale favorevole: si rammentino le fratture fra città/centri e campagne/periferie, ove la grandissima parte delle municipalità italiane sono situate. Stante le divergenze strategiche fra partito Democratico e Movimento 5 Stelle, viviamo in una situazione che rischia di regalare un’intera coorte di personale politico alle destre.

A sinistra non resta oggi dunque che ripiegare sulla strada del «civismo». Un termine che pure significa tutto e niente. Vi sono compresi certo nuovi e vecchi potentati e/o avventure personalistiche, ma anche esperimenti di integrazione sociale in cui tacitamente si rinuncia ad ogni riferimento politico nazionale, sia perché elettoralmente controproducente sia perché foriero di divisioni identitarie. Si ha dunque la costruzione di progetti interessanti, competitivi e capaci di socializzare politicamente un numero crescente di cittadini, a prezzo a volte di contribuire a riprodurre attitudini antipolitiche/a-ideologiche e di rinunciare ad incidere su orizzonti più ampi. Si tratta tuttavia di esperienze che quantomeno, a differenza dei partiti politici nazionali d’area, non favoriscono le destre, contendendone il controllo concreto del paese reale.