Brian Evenson, universo concentrazionario nascosto nei rituali religiosi
Scrittori statunitensi Cambi di prospettiva nella narrazione lasciano intravedere meccanismi settari e un regime di violenze: «Il padre della menzogna», nottetempo
Scrittori statunitensi Cambi di prospettiva nella narrazione lasciano intravedere meccanismi settari e un regime di violenze: «Il padre della menzogna», nottetempo
Nel raffigurare mondi altri, o intrusioni di realtà diverse da quelle a noi consuete, il genere fantastico si rivolge comunque, tramite lo specchio deformante della anamorfosi, al nostro qui e ora, ed è dunque il frutto di un fraintendimento considerarla una forma di narrativa escapista, o per meglio dire di evasione. Tolkien se ne servì per dare rappresentazione, attraverso Mordor, alla terra devastata del fronte occidentale, dove aveva combattuto durante la prima guerra mondiale; e, prima di lui, Edgar Allan Poe aveva incarnato la sua straziante elaborazione di un lutto in un corvo parlante appollaiato su un pallido busto di Pallade Atena; mentre Cortázar diede sostanza allegorica alla alienazione metropolitana nel suo racconto, «Omnibus».
Come questi e altri precedenti, va proiettato sul suo sfondo storico anche il romanzo di Brian Evenson, Il padre della menzogna (traduzione di Orso Tosco, nottetempo, pp. 228, € 17,00), che esce in Italia ben ventisei anni dopo la prima edizione americana. Negli anni Novanta, l’argomento relativo agli abusi sessuali da parte di religiosi era di rovente attualità negli Stati Uniti; non a caso proprio a metà di quel decennio venne pubblicato il feroce romanzo gotico Il prete, di Thomas M. Disch (uscito da noi per Fanucci nel 2001), che ha per protagonista un sacerdote cattolico pedofilo. Il romanzo di Evenson, invece, racconta la storia di Fochs, prevosto di una chiesa immaginaria, la Corporazione del Sangue dell’Agnello, i cui adepti si definiscono, conseguentemente, «sanguinisti», e il cui culto – per quanto fantastico – ha fatto pensare ai rituali della comunità dei mormoni, con cui ci sono in effetti alcune significative somiglianze.
Tormentato da incubi che riguardano una serie di molestie sessuali ai danni di giovani ragazzi, incubi che interrompono per giunta e di frequente il sonno della moglie, il prevosto Fochs accede a una terapia psicoanalitica con il dottor Feshtig, tra i compiti del quale rientra l’incontrare i figli delle famiglie sanguiniste; possibile che gli atti osceni narrati dal religioso, non senza scendere nei particolari più squallidi, siano semplicemente sognati?
Il romanzo ha inizio con uno scambio di lettere tra lo psicoanalista e i suoi superiori, anche loro sanguinisti, e prosegue con un brusco rovesciamento di prospettiva, adottando il punto di vista di Fochs; ma non illustreremo qual che si vede dalla sua prospettiva. È interessante, invece, come l’asciutto realismo delle prime pagine lasci gradualmente spazio a una serie di visioni che non si sa se imputare all’instabilità mentale del prevosto, oppure alla manifestazione di potenze oscure che se ne sono impadronite e lo guidano nel suo percorso di morte. Si estrinseca così un primo livello fantastico, dove si gioca – come nelle narrazioni ottocentesche studiate da Todorov – sull’oscillazione tra una spiegazione razionale (un caso di pazzia completo di episodi allucinatori) e una irrazionale (l’irruzione di una realtà altra e sconosciuta in quella ordinaria che conosciamo). Il pregio del romanzo sembra tuttavia consistere più che altro nella raffigurazione di una comunità religiosa chiusa e gerarchicamente strutturata, vista dal suo interno, con tutti i tratti caratteristici di una setta, nella quale la vita dei fedeli (o adepti, o iniziati) è strettamente controllata, e deve rispondere a regole rigide e non negoziabili. Dove, soprattutto, evitare che il buon nome della chiesa venga macchiato, qualunque sia l’infamia da nascondere e proteggere.
La Corporazione del Sangue dell’Agnello viene dunque dipinta da Evenson in modo del tutto convincente, descrivendo i rituali di gente apparentemente normale, che ci introducono in un universo concentrazionario dai tratti kafkiani: nel suo essere angosciosa, orrorifica e ottusa nel proprio fanatismo, questa comunità che ricorda anche troppo da vicino certe congreghe religiose d’oltreoceano, quando non nazionali, finisce per risultare un prodotto del fantastico più di quanto non lo siano le gesta dello psicopatico di turno.
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