Al Sinodo sull’Amazzonia sì agli indios, no a Bolsonaro
Brasile Politici e militari, e dunque i rappresentanti dei governi latinoamericani, esclusi per decisione di papa Francesco dall'assemblea dei vescovi prevista a Roma dal 6 al 27 ottobre. Ci saranno invece i rappresentanti dei popoli indigeni, ambientalisti e scienziati
Brasile Politici e militari, e dunque i rappresentanti dei governi latinoamericani, esclusi per decisione di papa Francesco dall'assemblea dei vescovi prevista a Roma dal 6 al 27 ottobre. Ci saranno invece i rappresentanti dei popoli indigeni, ambientalisti e scienziati
Né i politici in carica né i militari potranno prendere parte al Sinodo sull’Amazzonia che si svolgerà a Roma dal 6 al 27 ottobre. Così ha deciso papa Francesco, che aprirà invece le porte ad altri invitati speciali, compresi rappresentanti dei popoli indigeni, ambientalisti e scienziati, di cui non è stata ancora diffusa la lista ufficiale (tra i brasiliani, si sa che vi parteciperà il noto climatologo Carlos Nobre, fortemente critico nei riguardi della politica ambientale di Bolsonaro).
Ad annunciarlo è stato il cardinale Cláudio Hummes, nominato dal papa come relatore del Sinodo, che, interpellato lunedì da O Estado de S. Paulo, ha così liquidato la questione di un’eventuale presenza a Roma di rappresentanti del governo brasiliano. Il quale, tra un attacco e l’altro ai vescovi, considerati pericolosi alleati del Partito dei lavoratori, aveva espresso per vie diplomatiche il proprio interesse a intervenire al Sinodo, attribuendogli, secondo le parole di Bolsonaro, una «forte influenza politica».
Quanto minacciosa risulti per il governo l’assemblea dei vescovi sull’Amazzonia era apparso chiaro già lo scorso febbraio, con la rivelazione di una serie di informative dell’agenzia di intelligence brasiliana (Abin) guidata dal ministro Augusto Heleno sul presunto tentativo di un gruppo di vescovi e cardinali di screditare in occasione del Sinodo la politica ambientale di Bolsonaro.
Una preoccupazione che aveva addirittura condotto il governo ad attivare gli uffici dell’Abin a Manaus, Belem, Marabá e Boa Vista per spiare le riunioni preparatorie nelle parrocchie e nelle diocesi. Ma oggi, in mezzo all’ondata di critiche della comunità internazionale per l’aumento vertiginoso della deforestazione e degli incendi in Amazzonia, il Sinodo è diventato agli occhi di Bolsonaro e dei militari un pericolo ancora maggiore per la sua politica sull’ambiente e sui popoli indigeni.
Tant’è che l’ex comandante dell’esercito Eduardo Villas Bôas non ha esitato ad accusare i vescovi di utilizzare «dati distorti» estranei alla vera realtà dell’Amazzonia, quando sarebbe assai «più proficuo – ha dichiarato a O Estado de S. Paulo – se essi, a livello istituzionale, si rivolgessero al governo per informarsi su quanto realmente sta accadendo, e sulle sue intenzioni e le sue pratiche a favore del progresso della regione».
Non senza avvisare – a proposito di una possibile strumentalizzazione «da parte degli ambientalisti» e del «carattere politico» che a suo giudizio il Sinodo avrebbe assunto – che il governo non ammetterà alcuna «interferenza negli affari interni» del Brasile.
Agli attacchi di un governo in caduta libera di consensi – se le elezioni ci fossero oggi, vincerebbe Haddad – i vescovi hanno risposto con una lettera diffusa il 30 agosto al termine di una riunione di tre giorni svoltasi a Belém, in Pará, «lamentando immensamente» di venire «criminalizzati» e trattati come «nemici della patria».
Definendo per loro «fuori questione» la sovranità brasiliana sulla parte di Amazzonia interna ai confini nazionali, i vescovi hanno tuttavia fatto propria la «preoccupazione del mondo intero» relativa a «questo macrobioma che svolge una decisiva funzione regolatrice del clima planetario», esigendo «misure urgenti da parte dei governi di fronte all’aggressione violenta e irrazionale nei confronti della natura» e «alla distruzione senza scrupoli della foresta» con «incendi provocati in maniera criminale».
Incendi che ad agosto – secondo gli ultimi dati diffusi dall’Inpe, l’Istituto nazionale di ricerche spaziali – sono aumentati del 196% rispetto allo stesso mese del 2018, raggiungendo 30.901 focolai attivi. E che, secondo gli esperti, non potranno essere spenti prima dell’arrivo della stagione delle piogge, previsto a partire dalla fine di settembre. Anche se, dicono, perché piova in maniera più regolare, bisognerà attendere un altro mese.
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