L’11 maggio scorso le commissioni del Parlamento europeo per le libertà civili (Libe) e per la protezione dei consumatori (Imco) hanno licenziato il testo dell’Artificial Intelligence Act, una regolazione che mira a governare l’impatto dei sistemi di intelligenza artificiale sulla società, basata sulla valutazione dei rischi. Il testo arriverà al Parlamento europeo a giugno prossimo per il voto finale. E si annuncia un braccio di ferro con il Ceo di ChatGPT.

Nonostante il regolamento si basi prevalentemente su principi di soft law, che sono facili da compiacere o da aggirare, senza davvero imporre un controllo, durante un recente tour europeo, in un incontro all’University College di Londra del 23 maggio scorso, Sam Altman, il Ceo di Open.AI, l’azienda di ChatGPT, si era espresso in modo dubbioso e ostile considerando che secondo l’attuale regolamento, il sistema generativo ricadrebbe tra quelli ad alto rischio, forzando l’azienda a rispettare ulteriori richieste per la sicurezza. Altman ha mandato un monito all’Europa: “O saremo in condizione di assolvere a quegli adempimenti o no” e ancora “Cercheremo di farlo. Ma ci sono limiti tecnici su quello che è possibile fare”.

Tornato dal tour europeo, Altman si è rimangiato la minaccia in un Tweet distensivo del 26 maggio: “Settimana produttiva di conversazioni in Europa su come sia meglio regolare l’AI! Siamo molto eccitati di continuare a operare qui e certamente non abbiamo nessun piano di rinunciare”.

Sam Altman non è nuovo a dichiarazioni altalenanti, emotive e diplomatiche. L’11 maggio, sentito da una commissione del congresso americano, ha detto di pensare che l’IA generativa moltiplicherà i posti di lavoro invece di distruggerli, per poi aggiungere che “se questa tecnologia dovesse andare male, potrebbe andare davvero male”. Facendo intendere che il suo obiettivo è lavorare con il governo per evitare che accada, accettando di autolimitarsi attraverso politiche di autoregolazione interna e sostenendo il governo americano a progettare una “regolamentazione saggia”.

Sembra un po’ la fotocopia di affermazioni scritte direttamente dalla sua creatura. Il Chatbot, infatti, replica seguendo criteri cerchiobottisti, soprattutto nelle questioni politiche. Illustra sempre due alternative, senza mai orientarsi verso una posizione decisa, a meno di essere davvero costretto dal prompt, e sempre a malincuore.

Non è particolarmente interessante fare l’esegesi delle sue ambivalenti esternazioni, se non fosse che Altman rappresenta il prototipo degli imprenditori high tech. È empatico con chi ha paura degli effetti pericolosi della tecnologia generativa, che potrebbe rendere presto impossibile riconoscere un testo, un’immagine, una voce, un video inventato, separandolo da una produzione mediale che restituisce l’accaduto. Ne abbiamo avuto un piccolo assaggio con la foto del falso attacco al pentagono del 23 maggio, che ha avuto ricadute vere su Wall Street.

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Ma pure stando dalla parte dei buoni, Altman resta insofferente a qualsiasi regolazione che venga dall’esterno e non sia prima concordata con le aziende che ne dovrebbero rispettare le regole. Vuole essere l’interlocutore privilegiato del legislatore, perché ritiene di non essere sottoposto a nessuna autorità. Il progresso tecnologico non può essere contenuto, perché è l’avanguardia rivoluzionaria del capitale, e produce ricchezza, che solo lui può decidere se e come redistribuire. La tecnologia, come i sovrani assoluti, si pensa legibus soluta (non vincolata a rispettare le leggi), anzi costituisce il fondamento di una nuova legge, fuori dalla democrazia.

Dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, l’attitudine anarchica e insofferente alla collettività della tecnologia, incapace di rispettare le regole comuni, perché consiste precisamente in una loro riorganizzazione. Non può dare conto, per esempio, di tutto il materiale coperto da copyright sul quale è stata addestrata. Sarebbe ingiusto chiederglielo come si farebbe coi comuni mortali.

Le Big Tech condividono la paura delle conseguenze, ma il sentimento prevalente è l’ottimismo per il progresso che i loro sistemi tecnocratici costruiscono per la collettività. Sono quasi offesi che non ci fidiamo completamente, considerato quanto sono smart.

Sam Altman mette in scena, malgrado le sue buone intenzioni, la violenza del potere incarnato nella tecnologia. Sarebbe auspicabile, invece, sbrigarci a contenere quei sistemi con l’esercizio della politica, in modo semplice, deciso e diretto. Forse basterebbe anche solo applicare le regole che già ci sono, senza invocare l’eccezionalità. Se non ora quando?