«Trattati da criminali, senza sapere perché siamo qui»
Croazia/Bosnia Parla uno dei due nigeriani giunti in Croazia per un torneo sportivo e ora in Bosnia in un centro di accoglienza
Croazia/Bosnia Parla uno dei due nigeriani giunti in Croazia per un torneo sportivo e ora in Bosnia in un centro di accoglienza
«Ci trattano come criminali. Vi prego, tirateci fuori da qui». C’è un moto di rabbia e disperazione sotteso alle parole di Eboh Kenneth Chinedu, lo studente nigeriano volato un mese fa in Croazia per partecipare a un torneo sportivo internazionale e ritrovatosi insieme al compagno Abia Uchenna Alexandro in un centro di accoglienza a Velika Kladusa in Bosnia-Erzegovina.
AL TELEFONO EBOH ripercorre i momenti della sera in cui ha avuto inizio quell’incubo. «Abbiamo detto la verità, è stata la polizia croata a portarci qui con la forza. Ci hanno fermato e portato in questura. Abbiamo spiegato loro che eravamo lì per un torneo sportivo, che viaggiavamo con regolare visto, ma non ci hanno dato retta. A un certo punto ci hanno caricato in un furgone insieme ad altre persone. Era notte, ci hanno detto che stavamo andando in Bosnia, ma non capivamo perché. Arrivati in un bosco, ci hanno intimato di scendere o ci avrebbero sparato».
A Eboh e Abia non è rimasta altra scelta che seguire gli altri migranti. E così si sono ritrovati a Velika Kladusa, cittadina della Bosnia nord-occidentale, in un centro gestito dall’Organizzazione internazionale delle Migrazioni (Oim). Una settimana fa, la denuncia. In un’intervista al quotidiano bosniaco Zurnal i due studenti hanno raccontato la loro storia e subito dopo sono stati trasferiti dalle autorità bosniache in un centro per l’immigrazione a Istocno Sarajevo. Un centro dove vengono reclusi i migranti clandestini in attesa di essere rimpatriati. Già, ma dove?
Tecnicamente, sottolineano le autorità bosniache, i due ragazzi sono entrati in Bosnia illegalmente, per cui – è il ragionamento – devono essere rimandati in Croazia e da lì prendere la strada per il ritorno verso la Nigeria. Ma Eboh e Abia non ne vogliono sapere nulla: «Abbiamo paura di tornare in Croazia dopo quello che ci ha fatto la polizia, spiega Eboh. Se è necessario, chiediamo almeno che ci accompagni un rappresentante dell’Onu. Tutto quello che vogliamo è tornare a casa il prima possibile».
EPPURE QUESTA VICENDA sembra ancora lontana dalla sua conclusione. Le autorità croate negano di aver deportato i due studenti in Bosnia. Rimpatriarli su richiesta delle autorità bosniache equivarrebbe a riconoscere lo «sbaglio» commesso dalla polizia croata.
Uno sbaglio che sarebbe in realtà una prassi più volte denunciata, quella di respingere i migranti verso la Bosnia senza dar loro la possibilità di esercitare il loro diritto a chiedere asilo. Uno sbaglio razzista, perché i due ragazzi sarebbero stati rimandati indietro solo per il colore della pelle, dando per scontato che fossero clandestini. Dopo una settimana dal clamore mediatico suscitato dalla denuncia del Zurnal, per Eboh e Abia non è cambiato nulla. O meglio, è cambiato qualcosa, ma in peggio.
«NON SAPPIAMO per quale motivo siamo finiti qui, non ci hanno ancora detto quale reato avremmo commesso. Quel che sappiamo è che siamo finiti in carcere senza alcun processo: non possiamo uscire, non possiamo fare o ricevere telefonate perché ci hanno tolto i cellulari. Non sentiamo le nostre famiglie da giorni. La polizia è crudele con noi. Manca l’acqua calda nei bagni, non ci sono riscaldamenti, ci danno delle pillole per dormire. È tutto assurdo».
NON SOLO. I DUE RAGAZZI non sono nemmeno assistiti da un legale: «Ci hanno dato una lista di nomi, spiega Eboh, ma non sapevamo di cosa si trattasse. Nessuno parla inglese. Quando chiediamo che ne sarà di noi, nessuno ci risponde. Ci ripetono: “domani, domani”, ma i giorni passano e noi siamo ancora qui. Solo ieri abbiamo incontrato un rappresentante del Comitato Internazionale della Croce rossa (Icrc), per il resto non sappiamo nulla».
Circostanza confermata dal capo delegazione dell’Icrc Elmir Camic: «Abbiamo visto i due studenti nigeriani perché ricade nel nostro mandato, ma finora non siamo stati attivamente coinvolti nelle procedure per il rimpatrio dei ragazzi». Insomma quel che sembrava una storia destinata a essere risolta nel giro di poco tempo si sta trasformando in un calvario pieno di incognite. Un calvario in cui per il momento il braccio di ferro politico tra Bosnia e Croazia sembra prevalere sul reale interesse di Abia ed Eboh.
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