Olivier Dussopt, ministro del Lavoro, assicura che «le porte sono aperte» per il «dialogo» con i sindacati sulla riforma delle pensioni che innalza l’età a 64 anni, dopo dieci giornate di mobilitazione e l’annuncio di nuovi cortei il 6 aprile. La prima ministra, Elisabeth Borne, ha invitato i sindacati a Matignon, per l’inizio della prossima settimana.

PER IL MOMENTO, solo la Cfdt, riformista, ha accettato. Ma il segretario Laurent Berger avverte: la Cfdt andrà all’appuntamento, ma per parlare «delle pensioni, non discuteremo d’altro», vuole mettere la riforma «in pausa». Borne fa sapere che «i sindacati potranno affrontare tutti gli argomenti che vogliono», ma altri rifiutano: «Non ci saranno i 64 anni nel menu dell’incontro con i sindacati – spiega François Bayrou, commissario alla pianificazione – i 64 anni sono nel testo di legge e non si può cambiare linea fino a questo punto». «Se non ne vogliono parlare, ce ne andremo» ha risposto Berger: «C’è un profondo risentimento, c’è ancora molta contestazione, c’è conflitto sul lavoro, per molti andare in pensione è una forma di liberazione perché le condizioni di lavoro sono troppo penose».

INTANTO, IL GOVERNO cerca di disinnescare la contestazione degli studenti. Ieri, è stata presentata la “prima tappa” della riforma delle borse di studio: 500mila euro in più, «la più forte rivalutazione da 10 anni», vanta la ministra dell’Insegnamento superiore, Sylvie Retailleau, che aumenterà gli assegni e il numero dei beneficiari (fino a famiglie con 3.600 € di reddito netto). Mentre continua la polemica sui soccorsi ritardati dopo gli scontri a Sainte-Soline lo scorso fine settimana, con due persone ancora in coma e denunce per “tentativo di assassinio”.

Sulle pensioni, il governo aspetta il parere del Consiglio costituzionale, che dovrebbe arrivare il 14 aprile: un primo giudizio sui contenuti dei 20 articoli della riforma (alcuni potrebbero essere ritoccati) e un secondo sulla domanda di Rip (Referendum di iniziativa condivisa) presentato dall’opposizione.

SULL’INCONTRO con il governo, l’unità sindacale, che ha tenuto nei mesi di protesta, potrebbe esplodere. La Force Ouvrière (Fo) non vuole «tradire la base». La Cgt è in congresso a Clermont-Ferrand fino al 31 marzo, dove verrà rinnovata la direzione.

PHILIPPE MARTINEZ, dopo anni 8, lascia e la sua candidata, Marie Buisson (insegnante) è in posizione difficile. Martedì sera, Martinez ha subito una secca sconfitta: il congresso ha bocciato, al 50,32%, il rapporto di attività della direzione uscente. «È stato sconfessato tutto quello che ha fatto, non è un piccolo segnale, un voto di umore» ha commentato la principale rivale di Buisson, Céline Verzeletti (statale), che se sarà eletta promette posizioni più radicali, scioperi più duri. In lizza c’è anche Olivier Mateu, delle Bouches-du-Rhône, legato al vecchio mondo, che mette sullo stesso piano Zelensky e Putin. La contestazione a Martinez è guidata dalle federazioni più forti (sanità, metallurgia, chimica, energia, ferrovie, trasporti, telecom), che da tempo funzionano in autonomia.

La Cgt, difatti, è in crisi. Fino al 2018 era il primo sindacato di Francia, ma ha perso il posto a favore della Cfdt. Il tasso di sindacalizzazione in Francia è tradizionalmente molto basso, solo circa il 10% dei lavoratori è iscritto e la Cgt rappresenta meno del 3% dei salariati, con un po’ più di 600mila iscritti (anche se in questi mesi c’è stato un aumento delle adesioni, grazie all’azione contro la riforma delle pensioni). La gestione di Martinez è criticata per la mancanza di democrazia interna.

«Compagno Martinez, chi ti ha dato mandato di parlare di mediazione quando i compagni sono in piazza?» ha chiesto la federazione della chimica al segretario uscente, che nei giorni scorsi, assieme agli altri sindacati, aveva approvato la proposta della Cfdt per la nomina di mediatori con il governo. I chimici non approvano neppure l’avvicinamento ad altri sindacati e la firma di testi con i riformisti. Martinez e Buisson sono criticati anche per l’apertura verso nuove tematiche, come l’ecologia. Le federazioni dell’industria sono contro il collettivo Plus jamais ça, creato nel 2020 con Greenpeace o gli Amici della Terra, per le posizioni anti-nucleare e la decarbonizzazione dell’economia, che può far perdere posti di lavoro.