Bonus di classe e “mini naja” per i giovani
In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss
In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss
La discussione sulla «manovra» del governo Meloni si è aggrovigliata sulla faccenda del Pos, e ora irrompe il dilemma che si sperava sopito del Mes (ahimè, quei perfettini dei giudici costituzionali tedeschi hanno sciolto il quesito a loro sottoposto più rapidamente del previsto: il meccanismo finanziario europeo cosiddetto “Salva Stati” va bene così), e siccome Meloni e Salvini, e in parte Forza Italia, sono sempre stati ferocemente contrari, mentre l’Italia è rimasta ultima e sola in questa non molto comprensibile resistenza, la maggioranza non sa bene che pesci prendere.
Si sente intanto il bisogno di non fare dimenticare del tutto le promesse rivolte in campagna elettorale non tanto a utilizzatori sospetti di denaro contante, partite iva più agiate, appassionati della competizione sul «merito» fin dalle più tenere età, cultori dell’«umiliazione» come strumento pedagogico, nemici del reddito di cittadinanza, ecc. ma a quanti se la passano peggio e sarebbero i naturali destinatari delle scelte di una «destra sociale» come si deve.
Ieri Giorgia Meloni, parlando on line dei suoi «appunti», ha ribadito che il cosiddetto “bonus cultura” destinato a diciottenni non sarà abolito – come cronache faziose avevano insinuato – ma rimodellato per i giovani che ne hanno veramente bisogno: «Penso sinceramente – ha raccontato ai suoi follower – che non ci sia ragione per la quale il bonus vada per esempio ai figli dei milionari, dei parlamentari o a mia figlia. Io potrei rinunciare ai 500 euro per comprarle dei libri…». Un sano classismo, per di più auto-anti-casta.
Però, c’è un però. La brava mamma Giorgia non lesinerà certo spese per la formazione culturale di sua figlia, ma altri genitori milionari potrebbero avere idee sulla cultura non collimanti, se non opposte, a quella dei figli, quindi non accordare finanziamenti per consumi letterari, musicali, spettacolari, filosofici ecc. a loro sgraditi.
Quello che sfugge alle persone di destra è che il provvedimento, non tra i più costosi, e uno dei non molti apprezzabili del governo Renzi, ha – per quanto ne capisco – l’obiettivo di stimolare anche una forma di autonomia nei ragazzi e nelle ragazze, oltre a incoraggiare spese che fanno bene a chi produce cultura.
La cosa temo, poi, che si complichi non poco se per acquistare libri o andare a teatro si deve aprire una sessione buro-familiare per capire se il reddito è sufficientemente basso.
D’altra parte il rapporto con i giovani è un termometro sensibile per misurare la temperatura ideologica di chi affronta il tema.
La nostra «seconda carica dello Stato» Ignazio La Russa, parlando agli Alpini, ha ritirato fuori una sua vecchia idea: istituire una «mini naja», «purtroppo» per ora solo volontaria, per giovani tra i 16 e i 25 anni. Il senatore aveva già presentato un disegno di legge, per periodi di tre settimane, e ora promette che altri suoi colleghi (il ruolo istituzionale sconsiglia l’iniziativa diretta) torneranno alla carica aumentando a 40 giorni (gli stessi del CAR – Centro addestramento reclute – del vecchio servizio obbligatorio) questa breve ma intensa esperienza «vestendo le divise dei militari» e così potendo provare il dovere e l’amore di «servire la Patria».
Fin in qui ci può stare che a giovani persone possa interessare questa prova, e che sia richiesta dalle associazioni d’arma, anche per infoltire i candidati alla professione di soldato.
Ciò che sembra discutibile è che secondo La Russa – che sogna il ritorno di una leva non mini e almeno «quasi obbligatoria» – questa scelta darebbe speciali crediti per vincere concorsi e migliorare i voti di laurea. Una sorta di “merito” giovanile armato.
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