Emilia-Romagna caput Pd. La sfida per la guida dei dem ruoterà attorno alla via Emilia, con Stefano Bonaccini e Elly Schlein, presidente il primo della regione, vice fino ad una manciata di giorni fa la seconda. Se poi si aggiungono gli altri due candidati, Paola De Micheli di Piacenza e Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, davvero questa volta la competizione di concentra in un’area geografica molto ristretta.

Un inedito assoluto nella tormentata storia del partito nato nel 2017, quello di due dirigenti della stessa regione che si confrontano alle primarie. Da notare che Schlein è la seconda donna che concorre alla guida del Pd dopo Rosy Bindi nel 2007 che sfidò Veltroni e Enrico Letta. Da allora le sfide del 2009, 2013, 2017 e 2019 sono state tutte tra uomini.

SCHLEIN HA VARCATO IL SUO Rubicone (tanto per citare un fiume di quelle zone) domenica al Monk di Roma, un circolo Arci nella periferia di Portonaccio. Per la prima volta da quando è in predicato per la leadership ha fatto un discorso poco sfuggente: quasi un’ora in cui ha citato praticamente tutte le priorità di una forza di sinistra, a partire dal precariato, il lavoro povero, la conversione ecologica, lo stop al consumo di suolo, l’idea in fondo di redistribuire e potere e ricchezza in una delle società europee più gerontocratiche e sclerotizzate.

IN MEZZO A CENTINAIA di sostenitori, e rompendo con le lacrime un’immagine talvolta troppo costruita, Schlein ha tentato di proporre un’idea di cambiamento della società. L’obiettivo di suscitare un’onda di partecipazione dei veri underdog è chiaro e potrebbe anche funzionare, alle primarie del 19 febbraio, se gli under 40 dovessero percepire una reale possibilità di cambiamento. Il suo punto debole è l’estrazione altoborghese, molto ztl, che rischia di farla apparire troppo radical, più attenta alle battaglie per i diritti civili che alle lotte dei lavoratori. Un punto debole che lei conosce e su cui sta lavorando.

E non a caso domenica ha citato la battaglia degli operai della Saga Coffee, sull’appennino bolognese, che lei ha seguito da assessora e che ha avuto un lieto fine. E così ha fatto c proposito delle battaglie dei rider, del diritto alla casa. E ha annunciato che il nuovo Pd, se sarà lei a guidarlo, sarà «radicato nei luoghi della marginalità e del conflitto».

SAREBBE UNA RIVOLUZIONE copernicana per un partito che anche alle ultime politiche si è dimostrato forte solo tra i ceti istruiti delle aree metropolitane e delle città. Schlein certamente parla in primo luogo alla voglia di sentire «qualcosa di sinistra» del ceto medio riflessivo. E tuttavia quello è anche il principale bacino degli elettori che sceglieranno il nuovo leader alle primarie del 19 febbraio, dopo una prima consultazione tra i soli iscritti.

E DEL RESTO BONACCINI, fin dalla sua discesa in campo il 20 novembre, ha lasciato praterie scoperte a sinistra. Anche il 3 dicembre a Firenze, quando ha annunciato il ticket con Dario Nardella, si è concentrato sui temi interni al Pd (ancora la lotta alle correnti), dedicando pochi accenni a battaglie su scuola e sanità pubbliche ma trascurando del tutto la voragine del precariato, dei bassi salari, di come provare a raddrizzare una società diseguale.

Il tallone d’achille nel governatore non è solo l’aria di Leopolda che si respirava a Firenze, ma l’assenza di una riflessione autocritica sul Pd degli ultimi anni, del Jobs act, della buona scuola, dell’innamoramento per i capitani d’industria. Per Bonaccini, che porta il suo pragmatismo di amministratore come fiore all’occhiello, le riflessioni sulle conseguenze del neoliberismo in tema di diseguaglianze, sul modello di sviluppo, sono filosofia, argomenti che non si fanno capire dalle persone normali nei bar.

Ed è abbastanza chiaro che il governatore non propone una revisione tout court del dna del Pd, semmai la sostituzione dei vecchi mandarini con una nuova leva di sindaci e amminsitratori «più in contatto con le esigenze delle persone comuni», meno snob. Non a caso Andrea Orlando, che con Goffredo Bettini è tra i più impegnati nel ridare un’anima laburista al Pd, ha criticato Bonaccini «che pensa basti difendere l’esistente».

PEPPE PROVENZANO, DA SEMPRE vicino a Orlando, era al Monk ad ascoltare Schlein. E ha parlato di «sintonia». La corrente di Franceschini, pur tra mille dubbi, si appresta a sostenerla, anche se Schlein è la prima a vedere i rischi di questo endorsment. Orlando aspetta ancora. Il 16 dicembre scioglierà la riserva Ricci, molto lodato da Bettini, che ieri ha espresso «consonanza» anche con le idee di Schlein. Ci sarà un ticket con Ricci? Possibile.

Bersani, che pure è stato tra i padri nobili della lista Coraggiosa che nel 2020 portò Schlein ai vertici dell’Emilia- Romagna, è cauto: «Siamo ai primi passi, bisogna che ciascun candidato dica chiaramente quale partito nuovo ha in testa, sia come proposta politica che come riferimenti sociali, sia come struttura organizzativa». Non è certo un endorsment.

Duro il giudizio di Bindi: «Non credo che con Bonaccini e Nardella il Pd possa essere di sinistra. Non si sono fatti i conti col renzismo, e non si faranno con due protagonisti di quella stagione», ha detto a In Onda su La7. E su Schlein: «Fatico a vedere in lei una sinistra di governo».