Stefano Bonaccini arriva a Roma, per l’ultimo comizio nella Capitale prima delle primarie di domenica. Ad attenderlo, in un ex deposito di bus in zona Prati, alcune centinaia di persone. Tra loro molti parlamentari ed ex: la capogruppo Debora Serracchiani, Beatrice Lorenzin, Andrea Romano, Matteo Orfini, Valeria Fedeli. E poi l’uomo ombra del sindaco Gualtieri, Claudio Mancini, con vari assessori, Silvia Costa, il segretario del Pd Roma Andrea Casu, il candidato sconfitto alle regionali Alessio D’Amato, il sindaco di Pesaro Matteo Ricci. Ci sono anche due esponenti della sinistra dem, Cesare Damiano e Monica Cirinnà, due mosche rosse in un parterre quasi tutto di ex renziani. Una platea che, non a caso, si spella in battimani quando Bonaccini chiede al gruppo dirigente attuale di «farsi un giro in panchina».
IL GOVERNATORE EMILIANO è impegnato negli ultimi giorni in tour delle grandi città, da Milano a Genova, quelle in cui ha perso nella conta tra gli iscritti. Ma non drammatizza: «La geografia del voto dice che non rappresento il Pd delle elite o delle ztl…». E tuttavia quel dato delle metropoli pesa. E dunque Bonaccini sta col fiato sospeso, nonostante i sondaggi che lo indicano come vincitore. E si fa forte del voto degli iscritti: «Un risultato netto, ho vinto in 19 regioni su 20, con era facile superare il 50% con 4 candidati».

CON L’AVVERSARIA SCHLEIN non cerca polemiche. E se lei in mattinata su La7 ha detto no a un eventuale ruolo di vice che era stato evocato dal governatore della Puglia Michele Emiliano («È finito il tempo del partito patriarcale che vede sempre bene le donne nei ruoli di vice, serve una guida femminista per aprire un varco a tante altre donne e giovani»), lui si mostra sempre con le mani tese: «Non pretendo che Elly faccia nulla se vinco io, sarebbe arrogante. Le chiederò di dare una mano, poi deciderà lei». Di certo lui si propone come quello che ha cuore l’unità del Pd.. E cita quando da segretario regionale chiese ai suoi competitor di entrare nella sua segreteria.
QUESTO SLANCIO UNITARIO è però contraddetto dalle bordate che lancia verso i sostenutori di Schlein, pur senza nominarli, a partire da Orlando, Franceschini e Zingaretti. «Hanno sempre perso quindi è naturale sostituirli. Non è un caso che sostengono quasi tutti lei». E ancora: «Il Jobs Act? Certe leggi le hanno votate anche quelli che sostengono Elly». Il salario minimo? «È colpa del Pd non averlo fatto, capisco che la compagine del governo Draghi era molto eterogenea, ma siamo stati al governo 10 anni…e purtroppo quello che i cittadini percepiscono è che non lo abbiamo fatto. Se sarò eletto raccoglierò le firme per una legge popolare».
POCO DOPO LA FINE del comizio di Bonaccini nella Capitale, Schlein interviene a Bologna a fianco del sindaco Matteo Lepore. Con loro un migliao di persone. «Bologna è una città del cambiamento e Elly è la candidatura del cambiamento», le parole di Lepore. Una sfida tutta emiliana, in cui si inserisce anche la piacentina Paola De Micheli: «Mi costa non votare una donna, ma penso che le tesi che ho sostenuto in questo congresso siano più vicine ad alcune opinioni di Bonaccini», spiega la candidata arrivata quarta tra gli iscritti. Il governatore incassa («Sostegno importante», ) mentre Gianni Cuperlo, dopo aver incontrato martedì sera i suoi sostenitori, ha deciso di non schierarsi. In questo modo come terzo classificato avrà diritto a circa 16 componenti su 1000 della nuova assemblea nazionale.

DAL PALCO DI ROMA Bonaccini ha ribadito le sue ricette, a partire dalla difesa a oltranza di scuola e sanità pubbliche. «Il lavoro deve essere la nostra ossessione», ha detto, «io sono favorevole al reddito di cittadinanza, il governo sbaglia a toglierlo a 700mila persone. Ma non ci possiamo fermare all’assistenzialismo, bisogna creare lavoro». Applausi dalla plaeta dove molti, nel 2018, concordavano con Maria Elena Boschi quando diceva che il Rdc era un incentivo a stare sul divano. Bonaccini insiste: «L’impresa è un valore sociale, in questo congresso a volte si fa fatica a dirlo». E ancora, sul rapporto col governo, altro suo tallone d’Achille dopo aver detto che Meloni è «capace»: «Bisogna trovare la giusta misura nelle critiche, per essere credibili bisogna avere l’intelligenza di colpire in modo adeguato». «Appena eletto chiederò un incontro a Meloni, mi pare naturale e giusto in un Paese civile, dove gli avversari si rispettano», ribadisce in serata a Porta a Porta.
IL PROFILO RESTO QUELLO di un uomo «pragmatico», del fare, abituato a governare, allergico alla «sinistra ideologica e di protesta». Da lui, al netto della volontà di sostituire i dirigenti, non arriva un’analisi sugli errori del Pd degli ultimi anni, sulla deriva neoliberista, sulla necessità di una svolta. Il suo mantra è : «Mettiamo al governo del partito gli amministratori che parlano un linguaggio più vicino alle persone, anche quelle che non hanno studiato». Quanto al nome “Pd”, «cambiarlo sarebbe una follia».