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Bonaccini e Nardella, amarcord Leopolda: «Via questi dirigenti»

Bonaccini e Nardella, amarcord Leopolda: «Via questi dirigenti»Stefano Bonaccini con Dario Nardella – Aleandro Biagianti

La crisi dem Il sindaco di Firenze a capo della mozione del governatore emiliano: «Chi governa ogg il Pd non sa parlare alle persone normali». Oggi l’evento di Schlein. Bettini loda Ricci che avverte: bisogna fare la gavetta

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 4 dicembre 2022

C’è il sindaco di Firenze, appena nominato capo della mozione di Stefano Bonaccini che nel 2013 fu capo della mozione di Renzi. C’è anche Marco Agnoletti, che sarà spin doctor della campagna del governatore emiliano come lo fu con Renzi. Arriva anche Simona Bonafè, uno dei volti do punta del renzismo delle origini e ora segretaria della Toscana.

PERÒ GUAI A DIRE CHE IERI, al teatro del Sale di Firenze, c’è stata una leopoldina, una reunion di renziani pronti a riprendersi il Pd e a gemellarlo col terzo polo. A domanda di un cronista toscano, Nardella si infervora: «Qui non ci sono renziani. I renziani senza Renzi non sono renziani». E ancora: «Con Matteo abbiamo fatto un percorso insieme, lo hanno fatto in tanti… poi ognuno ha preso la sua strada. Noi quella nel Pd», aggiunge il sindaco di Firenze, che rivendica la sua «autonomia» e la scelta fatta nel 2019 di non aderire a Italia Viva, «nonostante le proposte ricevute». «Il Pd l’ho fondato e ora ci credo più di prima», assicura.

Bonaccini usa la scure: «Quando si vedrà la squadra si capirà il pluralismo. Se ragioniamo così andremo poco lontano. Se trovate qualcuno che è “bonacciniano” ditegli che è un coglione, basta parlare di cognomi».

E TUTTAVIA IN UN’ORA di conferenza stampa (organizzata per annunciare l’ingresso in squadra di Nardella), non si sente una parola di critica sulle scelte del Pd di quegli anni, dai temi del lavoro e Jobs Act, scuola, e tutte le altre decisioni che hanno portato il Pd sempre più in basso. Anche ieri, quando il tema lavoro è stato sfiorato, il governatore emiliano ha sentito il bisogno di precisare il ruolo decisivo dell’impresa «nel creare lavoro».

Ma il cuore del discorso di Bonaccini continua a essere la crociata contro le correnti, il dualismo tra partito romano e «territori», e cioè governatori e sindaci che con lui «non staranno più in panchina», entreranno nella sala macchine del Pd e lo riavvicineranno alle persone normali.

NON MANCA UNA SPINTA rottamatrice, pur negata: «Il Pd va smontato e rimontato, credo che dobbiamo cambiare la classe dirigente. Non ce l’ho con nessuno, ma si deve fare». Sindaci, dunque. C’è Nardella che farà da coordinatore, Antonio Decaro di Bari, Stefano Lo Russo di Torino, Giorgio Gori di Bergamo. «Ne arriveranno centinaia», assicura Bonaccini, «questa è la nuova classe dirigente, noi alle amministrative sappiamo come farci votar e vincere, a differenza che a livello nazionale».

E del resto, stando al racconto di ieri, nel partito romano albergano correnti, «continue risse verbali», una sostanziale incapacità nel farsi capire dalle persone normali in un bar. «Abbiamo bisogno di un partito mai populista ma certamente più popolare di oggi», dice Bonaccini. «Una parte della classe dirigente mi dà l’idea che faccia fatica a capire cosa succede in un bar o in una fabbrica, ecco perché si deve partire dai territori». «Nessuno però deve andare via», mette in chiaro il governatore.

ASSICURA «RISPETTO E LEALTÀ» verso gli avversari al congresso, chiarisce che lui comunque non promuoverà scissioni: «Se perdo darò una mano al vincitore» Bacchetta l’amico Gori che minacciava di andarsene: «Chiunque vinca il giorno dopo stiamo tutti insieme. Ci togliamo le maglie congressuali e indossiamo tutti quella del Pd. Di scissioni ne abbiamo patite fin troppe. Non temo che il Pd finisca, non finirà mai, temo che diventi irrilevante, al traino degli altri».

Cita l’Ulivo di Prodi, l’unione di «diversi riformismi», la necessità che «ognuno si senta a casa propria». E di fatto si schiera contro l’idea di cambiare il dna del partito nel nuovo manifesto dei valori. «Non va cambiato lo spirito originario, guai se cominciassimo a modificarne la natura o le radici». Semmai, bisogna guardare avanti puntando su alcuni pilastri, a partire dalla sanità e dalla scuola pubblica. «Vogliamo che un povero possa curarsi e istruirsi come un ricco».

NARDELLA, DAL CANTO SUO, spiega le ragioni del ritiro dalla corsa: «Vogliamo costruire un partito dove non comandino le cordate di potere, dove siano riconosciuti i territori e la loro forza. E dove gli iscritti e gli elettori abbiano davvero voce in capitolo. Ho trovato nel progetto di Bonaccini la risposta a queste esigenze. Saremo una squadra vincente, i destini personali vengono dopo le idee». Il sindaco porta in dono una bici da corsa, «per superare salite e tornanti».

SUL FRONTE OPPOSTO, c’è attesa per Elly Schlein che oggi a Roma scioglierà la riserva sulla sua candidatura. L’altro possibile candidato della sinistra è Matteo Ricci, che ha organizzato una evento il 16 dicembre a Roma, invita a «tenere la barra a sinistra» e batte su temi come il salario minimo con una proposta di legge di iniziativa popolare. E avverte: «Essere sindaci non basta, bisogna avere una linea politica chiara».

Ieri Goffredo Bettini è tornato a lodare il sindaco di Pesaro: «Lui ha talento, lo standing si può conquistare col tempo». Ricci lancia una stilettata a Schlein: «Credo molto nella gavetta». «Decisive nella sinistra dem saranno le mosse di Andrea Orlando, che ancora non ha deciso cosa fare. I più giovani della sua area, come Provenzano e Marco Sarracino, guardano con attenzione a Schlein. Ma non intendono percorrere strade diverse da Orlando. «Le scelte le faremo insieme», assicura Sarracino.

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