Ieri nel villaggio di Dugure una bomba ha centrato il veicolo che trasportava il comandante delle Ybs, Zardasht Shingali, e quattro combattenti del gruppo nato nella regione yazida irachena di Sinjar nel 2007. Dopo il 2015 e gli anni di occupazione e genocidio perpetrati dall’Isis, alle Ybs si sono unite le milizie femminili Yje.

Legate al Pkk e alle Ypg/Ypj di Rojava, le unità di difesa yazide sono già da anni nel mirino dell’esercito turco. Se ieri conferme ufficiali da Ankara non arrivavano, è molto probabile che il raid aereo sia responsabilità turca. «Lo Stato turco cerca di vendicare l’Isis», scrive in una nota il Consiglio autonomo democratico di Sinjar.

Succede da anni. Un anno e mezzo fa, nell’agosto 2018, a essere ucciso fu Zaki Shingali, leader del Pkk locale; nel novembre scorso 20 combattenti Ybs. A poco sono servite le flebili proteste del governo di Baghdad che ogni tanto ricorda all’invadente vicino chi è sovrano. Dopotutto il governo autonomo del Kurdistan iracheno permette da anni ai caccia di Ankara di bombardare le montagne di Qandil, rifugio e centro politico-militare del Pkk.

E a nulla è servito il ritiro ufficiale del Partito curdo dei Lavoratori, annunciato nella primavera 2018 con il passaggio del controllo della sicurezza di Sinjar alle forze irachene e alle Ybs che accanto all’autodifesa promuovono un sistema di autonomia sul modello del Rojava.

Nell’ultimo anno, mentre nel nord-est siriano il presidente turco Erdogan radicava l’occupazione del cantone curdo di Afrin e si lanciava alla conquista del resto del Rojava, in Iraq ha portato avanti operazioni anti-curde e anti-Pkk strettamente legate a quelle realizzate nel sud est turco.

Azioni militari che hanno visto coinvolti migliaia di soldati e mezzi di artiglieria pesante, raccolte sotto il nome di «Operazione Kiran» in casa (11 fasi dall’agosto scorso a oggi), «Artiglio» nel nord dell’Iraq e «Fonte di pace» nella Siria del nord-est.

Le descriveva a inizio anno l’agenzia turca Anadolu: «La politica di sicurezza interna e di confine nel 2019 può essere chiamata “strategia dalle priorità multiple” con l’obiettivo primario di controllare e sradicare il Pkk in Turchia, Siria e Iraq secondo dei “principi di sicurezza pro-attivi”».

Che si traducono, continua Anadolu, nell’aumento del 150% delle operazioni (109mila, secondo il ministero degli interni turco) contro il Pkk all’interno e nei paesi vicini e l’uccisione di 1.313 combattenti curdi. Di perdite, però, ne conta anche l’esercito di Erdogan: ieri l’agenzia curda Ahval riportava di almeno otto soldati uccisi nelle prime due settimane del 2020 tra Siria e Iraq.