A Kabul gli hazara sono di nuovo sotto attacco. Ieri due attentati hanno colpito la scuola superiore Abdul Rahim Shahid e il centro educativo Mumtaz Tuition Center. Entrambi si trovano a Dasht-e-Barchi, nella parte sudoccidentale della capitale afghana, quartiere simbolo della comunità hazara, la minoranza sciita, già perseguitata al tempo del primo Emirato, oggi di nuovo sotto attacco.

Difficile trarre un bilancio realistico: le stime ufficiali parlano di sei morti accertati e di 20 feriti, ma altre fonti riferiscono di 25 civili morti, perlopiù bambini e ragazzi.

PARTICOLARMENTE INFAME la tecnica utilizzata nel compound della scuola Abdul Rahim Shahid, tra le più frequentate e popolose di Kabul, con circa un migliaio di allievi: una prima esplosione sarebbe avvenuta all’uscita degli studenti e poi una seconda esplosione contro i soccorritori.

Una tecnica già usata in passato: nel maggio 2021 a essere colpita era stata la scuola Syed al-Shuhada, sempre nel quartiere di Dasht-e-Barchi. Allora le vittime, perlopiù giovani studentesse, furono 90, le vittime 300, le esplosioni tre, in rapida successione, così da provocare il maggior numero di feriti.

Oggi, le poche immagini che arrivano dai luoghi degli attentati sono fin troppo familiari ai residenti di Dasht-e-Barchi: libri scolastici imbrattati di sangue, mura annerite dal fumo delle esplosioni, scarpe di bambini sparse sul terreno.

FUORI DALL’OSPEDALE Muhammad Ali Jinnah, i familiari che cercavano notizie sarebbero stati respinti con la forza dai Talebani, così come i volontari che volevano donare il sangue. Secondo diverse testimonianze, le autorità di fatto avrebbero anche impedito ai giornalisti di riprendere la scena degli attentati, di raccogliere testimonianze, di intervistare i feriti.

Ali Reza Shaheer, giornalista della tv Rah-e-Farda, ha dichiarato di essere stato arrestato e malmenato dai Talebani, dopo che aveva raggiunto la scuola Abdul Rahim Shahid.

TELECAMERA E TELEFONO, confiscati. Ogni attentato inficia infatti le dichiarazioni delle autorità di fatto, secondo le quali il Paese è ormai stabile e sicuro. Non così sicuro, però, da garantire la sicurezza degli studenti, nel quartiere Dasht-e-Barchi, a Kabul.

Né così stabile da consentire il rientro a scuola delle studentesse dagli 11 anni in su: per loro, in tutto il Paese, le scuole sono chiuse da 215 giorni, caso unico nel mondo.

Reazioni di condanna sono arrivate da Unama, la missione dell’Onu a Kabul il cui mandato è stato rinnovato poche settimane fa, e da parte di Richard Bennett, il Relatore speciale Onu sui Diritti umani in Afghanistan, nominato di recente. Bennett, che il 12 aprile era a Roma per visite istituzionali, ha offerto le proprie condoglianze e chiesto che vengano trovati i responsabili.

PER ORA, non c’è alcuna rivendicazione, anche se gli analisti immaginano che dietro gli attentati ci sia la «Provincia del Khorasan», la branca locale dello Stato islamico, meno forte rispetto a soli 2-3 anni fa, ma capace di provocare seri danni alla popolazione e all’immagine dei Talebani.

Pochi giorni fa, la Provincia del Khorasan ha rivendicato un’azione militare che, partita dal territorio afghano, avrebbe colpito Termez, in Uzbekistan. Per l’ex presidente Hamid Karzai, la matrice va rintracciata oltre la Linea Durand, in Pakistan.

«NON VEDIAMO nessuna differenza tra gli attacchi di oggi a Kabul e l’uccisione dei nostri bambini a Khost», uccisi pochi giorni fa da un attacco militare dell’esercito di Islamabad contro presunti terroristi. «Il Pakistan non dovrebbe usare l’estremismo o il terrorismo come arma contro l’Afghanistan», ha dichiarato in un’intervista con la giornalista della Bbc Yalda Hakim.

In Italia, alcune associazioni della diaspora hazara, tra cui l’Associazione socioculturale Nawroz di Roma, gli attivisti del ristorante Samarkand di Milano, le attiviste e imprenditrici del progetto A2030 di Venezia, chiedono all’Onu di «adottare misure» per impedire l’uccisione di civili innocenti, alla comunità internazionale di «riconoscere ufficialmente il genocidio in corso contro gli hazara in Afghanistan» e al Relatore speciale Bennett e ad Amnesty International di raccogliere prove e di fornirle alla Corte penale internazionale.