Il Kamal Adwan era l’ultimo ospedale a malapena funzionante nel nord di Gaza. Operava con grande difficoltà, ma il personale medico da 228 giorni faceva il possibile per assistere i pazienti, soprattutto i bambini. Ora è quasi fermo. Dentro sono rimasti 15 pazienti, tra cui due donne che hanno appena partorito, che non possono essere trasferiti. Alcuni rischiano la morte. Per tre giorni forze israeliane hanno circondato l’ospedale costringendo i medici a spostare tutti i pazienti su un solo piano per evitare gli spari. Poi ieri il personale sanitario non ha potuto fare a meno di evacuare i pazienti, compresi i neonati prematuri. I video giunti da Gaza mostrano gli ammalati e i feriti più gravi su letti spinti in strada da infermieri e parenti, aggirando macerie e detriti. È avvenuto il calvario di un altro ospedale palestinese, l’ennesimo dal 7 ottobre che finisce circondato dall’esercito israeliano e deve cessare le attività. I due più importanti di Gaza, lo Shifa e il Nasser, sono riemersi di fatto inagibili dalle operazioni «antiterrorismo» condotte da Israele.

Per Gaza, da Jabaliya e Sabra nel nord, a Rafah nel sud, è stata un’altra giornata di sofferenza e morte per i civili mentre i bollettini ufficiali israeliani riferiscono di «successi» contro i combattenti di Hamas e altre formazioni palestinesi. I bombardamenti hanno ucciso o ferito decine di persone, in buona parte civili. A Beit Lahiya, nel nord, un attacco aereo ha ucciso tre membri della famiglia Kahlout. Vittime anche a Khan Yunis, nel sud, presa di mira anche dal fuoco di unità della Marina israeliana. Gli aerei hanno effettuato una serie di raid nell’area del campo profughi di Bureij provocato la morte di diverse persone e il ferimento di altre decine. Bombardato il campo di Jabaliya dove ruspe e carri armati hanno abbattuto negozi e abitazioni. Almeno cinque morti in un raid aereo a Rafah da dove prosegue la fuga di migliaia di abitanti e sfollati. L’hanno già fatto in 800mila e ora sopravvivono in condizioni disastrose tra Khan Yunis, Deir al Balah e Mawasi. Assisterli è sempre più difficile perché mancano i rifornimenti e in alcune aree, come Rafah, i bombardamenti impediscono alle agenzie umanitarie di svolgere il loro compito. Questo mentre sono 5.000 i camion con aiuti essenziali pronti ad entrare a Gaza e che invece restano bloccati sul versante egiziano del confine a causa della chiusura imposta da Israele dei valichi di Rafah, Kerem Shalom e Al Awja ormai da 15 giorni. Le 529 tonnellate di generi di prima necessità, trasportate via mare al molo galleggiante statunitense, allestito davanti alla Striscia, sono insufficienti ai bisogni di oltre due milioni di palestinesi.

Le pressioni sulla stampa si fanno più forti. Israele ha sequestrato ieri una telecamera e un apparecchio di trasmissione all’Associated Press (AP), accusando l’agenzia di stampa statunitense – una delle più grandi al mondo, vincitrice di premi Pulitzer – tra le altre cose di violare la legge sui media approvata di recente dalla Knesset fornendo immagini ad Al Jazeera, la notissima tv satellitare qatariota messa al bando da Israele. «L’Associated Press denuncia nei termini più forti le azioni del governo israeliano volte a chiudere il nostro feed di lunga data che mostra solo una vista su Gaza e a sequestrare le nostre apparecchiature…Esortiamo le autorità israeliane a restituire le nostre attrezzature e a consentirci di ripristinare immediatamente il nostro feed dal vivo in modo da poter continuare a fornire questo importante giornalismo visivo a migliaia di media in tutto il mondo», ha protestato Lauren Easton, una dirigente della AP. Il leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid ha definito la mossa del ministro delle comunicazioni Shlomo Karhi «un atto di follia». Per il ministro Karhi invece l’AP con il suo live metteva a rischio l’incolumità dei soldati israeliani a Gaza e andava fermata. Poi in tarda serata, forse su pressione degli Usa, ha revocato il suo provvedimento e ha ordinato di restituire l’attrezzatura alla AP con il fatto che il ministero della Difesa aveva chiesto di esaminare le trasmissioni di Sderot dell’agenzia americana riguardo al rischio per le forze armate israeliane.

Un altro noto mezzo d’informazione internazionale, la Bbc, ha invece denunciato, citando operatori umanitari in Israele, che i detenuti palestinesi di Gaza vengono regolarmente tenuti incatenati ai letti d’ospedale, bendati, a volte nudi e costretti a indossare pannolini. Un palestinese arrestato da Israele a Gaza e successivamente rilasciato, ha detto alla tv britannica che la sua gamba ha dovuto essere amputata perché gli erano state negate le cure per una ferita infetta. Israele ha arrestato oltre 5mila palestinesi di Gaza e le Ong per i diritti umani denunciano le loro dure condizioni di detenzione nel centro di Sde Teiman e in altre prigioni aperte da Israele dopo il 7 ottobre. Per l’esercito israeliano le accuse sono false, i detenuti, afferma, sono trattati «in modo appropriato e attento».

Israele respinge le accuse di crimini di guerra e chiede che «Le nazioni civili del mondo» si oppongano apertamente alla Corte penale dell’Aja e ai suoi possibili mandati di arresto nei confronti della leadership israeliana. Un portavoce governativo non ha escluso che il premier Netanyahu – che denuncia un presunto «antisemitismo» della Cpi – e il ministro della difesa Gallant si rechino presto all’estero anche nell’eventualità che i mandati di arresto siano emessi. Dalla sua parte Israele ha sempre gli Usa. Biden è stato eloquente. «La richiesta del Procuratore (Karim Khan) della Cpi di mandati di arresto contro i leader israeliani è vergognosa – ha detto il presidente americano –, a Gaza non è in corso un genocidio… vorrei essere chiaro: qualunque cosa questo Procuratore possa implicare, non esiste alcuna equivalenza, nessuna, tra Israele e Hamas. Saremo sempre al fianco di Israele contro le minacce alla sua sicurezza».