Bolton, si aggrava lo scontro tra Amministrazione Trump e Iran
Nucleare Il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale scelto da Trump è un altro accanito oppositore dell'intesa del 2015 con Tehran appoggiata da Barack Obama. Israele esulta. Torna sul tavolo l'"opzione militare" contro le centrali atomiche iraniane
Nucleare Il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale scelto da Trump è un altro accanito oppositore dell'intesa del 2015 con Tehran appoggiata da Barack Obama. Israele esulta. Torna sul tavolo l'"opzione militare" contro le centrali atomiche iraniane
Da Washington giungono nuove buone notizie per il governo di destra di Benyamin Netanyahu. Il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele fatto a dicembre da Donald Trump è stato solo l’inizio di un idillio senza precedenti nella pur stretta alleanza tra Usa e Stato ebraico. La nomina a Consigliere per la sicurezza nazionale di John Bolton, anima e volto dell’America più conservatrice e imperialista, pochi giorni dopo il licenziamento del Segretario di stato “moderato” Rex Tillerson e la sua sostituzione con il falco Mike Pompeo, ha messo Donald Trump alla testa di un ”consiglio di guerra” a tutti gli effetti che concentrerà la sua attenzione sull’Iran e lavorerà per demolire l’accordo internazionale del 2015 sul programma nucleare iraniano (JCPOA). Ogni scenario sarà possibile. Bolton dovrà gestire anche il dossier Corea del Nord.
Teorico dell’invasione dell’Iraq ai tempi di George W. Bush (raccontò ovunque falsità per giustificarla), ex inflessibile ambasciatore Usa all’Onu, nettamente contrario all’indipendenza palestinese, Bolton è anche un oppositore accanito del JCPOA e per tre anni ha chiesto, dai microfoni di Fox News, che gli Stati Uniti abbandonino l’accordo. Non sorprende che Israele ieri abbia applaudito alla scelta di Trump. La ministra della giustizia Ayelet Shaked ha sottolineato che «Il presidente Trump continua a nominare veri amici di Israele in posizioni di alto livello». Su twitter il ministro dell’istruzione Naftali Bennett ha definito Bolton, «uno straordinario specialista di sicurezza, un diplomatico esperto e un amico fedele di Israele». Con Pompeo e Bolton nella stanza dei bottoni, il governo Netanyahu è sicuro Trump a maggio non certificherà il JCPOA e, ritirando l’adesione degli Stati Uniti, decreterà la fine dell’accordo internazionale con Tehran.
L’Ue vuole salvare l’intesa ma i tentativi messi in campo da Gran Bretagna, Francia e Germania per assecondare l’intimazione di Trump di “aggiustare” l’accordo con Tehran, probabilmente risulteranno inutili. Il presidente Usa vuole pesanti sanzioni contro il programma iraniano di costruzione di missili balistici, chiede accesso libero e in qualsiasi momento per gli ispettori nucleari internazionali agli impianti iraniani (in particolare a quello di Parchin) e insiste per prolungare il limite di tempo imposto a Tehran per le sue produzioni atomiche. Nessuno tuttavia conosce quali siano per Trump i risultati accettabili per rimanere nell’accordo. Gli europei sarebbero pronti a sanzionare lo sviluppo dei missili balistici iraniani a lunga gittata. Ma Trump probabilmente vuole che Tehran rinunci anche quelli a medio e corto raggio in grado di raggiungere Israele, l’Arabia saudita e le basi Usa sparse nel Golfo. E l’Iran, senza una moderna aviazione militare, non accetterà mai di cessare la produzione di missili a corto e medio raggio privandosi di un’arma efficace in una regione dove ha molti nemici.
A Washington un po’ tutti prevedono che gli Stati Uniti e gli europei non potranno concordare le modifiche al JCPOA. Quindi l’uscita americana dall’intesa internazionale con l’Iran è certa. E ciò, sottolineano alcuni esperti israeliani a commento della nomina di John Bolton, pone di nuovo sul tavolo «l’opzione militare», ossia il bombardamento da parte di Israele e Usa – o solo di Israele con l’approvazione americana – degli impianti nucleari israeliani che Barack Obama aveva escluso. Israele in sostanza avrà l’opportunità di attuare di nuovo la “dottrina Begin” di attacco “preventivo” contro impianti nucleari veri o presunti in costruzione da parte dei suoi avversari, in modo da rimanere l’unica potenza atomica (non dichiarata) nella regione. Per questo non è un caso che proprio qualche giorno fa, tra la nomina di Pompeo e quella di Bolton, il governo Netanyahu abbia ammesso di aver distrutto, 11 anni fa, un sospetto sito nucleare in Siria. Una ammisione fatta per mandare un messaggio chiaro all’Iran ora che il JCPOA scricchiola. E forse non è un caso neppure che il quotidiano israeliano Haaretz ieri abbia riferito dei «sospetti» che desta fra i «ricercatori americani» un «misterioso impianto sotterraneo» ancora in Siria, a due chilometri dal confine con il Libano.
Intanto vanno a gonfie vele le vendite di armi Usa all’Arabia saudita. L’erede al trono Mohammed bin Salman pagherà con un miliardo di dollari per l’acquisto di 6.500 missili americani. A Riyadh è consentito possedere missilisti balistici, all’Iran no. Il principe, nei giorni scorsi in visita a Washington, inoltre ha annunciato investimenti sauditi per 400 miliardi di dollari nell’economia americana nei prossimi dieci anni.
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