Due volte ci hanno provato, due volte sono tornati indietro. Ieri la maggioranza ha cercato il colpo di mano al senato, prima in commissione e poi in aula, sostanzialmente abolendo il ballottaggio – che il centrodestra non ha mai amato – dalla legge elettorale per i sindaci. Come si è arrivati all’ipotesi di una riforma istituzionale di questa portata, non preceduta da alcun dibattito (sono tutt’altre le riforme di cui la maggioranza parla), lo racconta la cronaca.

IN COMMISSIONE affari costituzionali al senato è in discussione una piccola legge, da tutti i partiti condivisa. Necessaria per risolvere un vecchio problema che in epoca di forte astensionismo è diventato preoccupante. La legge elettorale per i piccoli comuni, sotto i 15.000 abitanti, prevede infatti che nel caso si presenti una sola lista le elezioni siano valide solo se vota almeno il 50% degli aventi diritto e se quell’unica lista prende più del 50% dei voti. La ragione è evidente: assicurare una rappresentatività ai vincitori. Ma nei comuni molto piccoli questo ha significato un certo numero di elezioni invalidate.

La modifica che era stata già concordata nella scorsa legislatura e approvata in prima lettura, prevede di abbassare il quorum di validità delle elezioni al 40% degli aventi diritto e di non considerare nel quorum gli elettori astenuti residenti all’estero (iscritti all’Aire). Sono infatti questi nelle elezioni locali (alle politiche possono votare dalla residenza) a tenere artificialmente alta l’astensione. Niente di clamoroso: è stato già fatto per le amministrative del 2021 e 2022 ma per decreto nel quadro delle misure legate alla pandemia.

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È successo però che ieri mattina Forza Italia ha presentato un emendamento in commissione, firmato direttamente dalla presidente del gruppo Ronzulli, inopinatamente considerato ammissibile, che approfittando di questa piccola legge voleva intervenire sui grandi comuni, quelli oltre i 15.000 abitanti. Per abbassare al 40% (dal 50%) anche la soglia della vittoria al primo turno: in pratica il ballottaggio che da trent’anni è il marchio di fabbrica della legge elettorale dei comuni, sarebbe stato (quasi sempre) eliminato. Tutte le opposizioni, renzian-calendiani compresi, hanno protestato per la forzatura, talmente energicamente che l’emendamento è stato ritirato. Ma tre senatori dei tre partiti di maggioranza hanno provato a riproporlo per l’aula.

LA PICCOLA LEGGE infatti, dopo appena una mezza giornata in commissione, ieri pomeriggio è arrivata già nell’aula. Merito della procedura d’urgenza sulla quale tutti i partiti erano stati d’accordo proprio perché si doveva trattare di una mini riforma generalmente condivisa. Il paradosso è che un’identica modifica anti ballottaggio il centrodestra sta provando a portarla avanti in due disegni di legge (Ronzulli e Romeo) di cui proprio la prima commissione sta discutendo, nell’ambito della riforma delle provincie, ma con tutti i crismi previsti per una novità di questa portata. Con tanto di audizioni dove, per esempio, l’Associazione nazionale dei comuni ha detto che il ballottaggio non va assolutamente eliminato.

Il Pd, Sinistra/Verdi e M5S si cono appellati a La Russa, avvertendo che se questa grave scorrettezza fosse passata «non concederemo mai più una procedura di emergenza», ha avvertito il senatore dem Parrini. «Che senso hanno gli inviti al dialogo sulle riforme di Meloni, se poi i comportamenti sono questi»?, si è chiesto il senatore Pd Giorgis. E in effetti è molto probabile che a palazzo Chigi la forzatura non sia stata affatto gradita. Tant’è che prima delle votazioni arriva la notizia che la maggioranza ritira l’emendamento. La legge resta piccola, e così viene approvata. All’unanimità.