Yoav Gallant ha dato ai coloni israeliani il via libera per entrare in un’area della Cisgiordania palestinese, sotto occupazione militare dal 1967, dove era stato loro vietato l’ingresso dal piano del 2005 attuato dall’allora premier Ariel Sharon. In sostanza il ministro della Difesa ha aperto la strada alla ricostruzione di tre dei quattro insediamenti coloniali ebraici parzialmente distrutti 19 anni fa. «Il controllo ebraico sulla Giudea e la Samaria (la parte settentrionale della Cisgiordania, ndr) garantisce la sicurezza», ha proclamato Gallant.

Basta questa decisione per comprendere il rifiuto incrollabile di Israele dello Stato palestinese: non vuole restituire, anzi intende conservare e possibilmente annettere, per evidenti motivi ideologici e religiosi, i Territori palestinesi che ha occupato quasi 57 anni fa. Sono un pretesto i motivi di sicurezza ai quali faceva riferimento ieri il premier Benyamin Netanyahu mentre descriveva come una «ricompensa al terrorismo» la decisione di riconoscere la Palestina presa da Spagna, Irlanda e Norvegia. Ed è ingiusto accusare di estremismo il solo ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir che martedì, esprimendo ad alta voce ciò che desiderano in tanti, ha detto che sarebbe «molto felice di vivere a Gaza» auspicando una «emigrazione» di suoi abitanti palestinesi per creare spazio per un significativo afflusso di coloni israeliani.

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La «guerra di Gaza» anche per questo va avanti, nonostante i turbamenti espressi la scorsa settimana da Yoav Gallant e l’assicurazione data ieri dal consigliere di Netanyahu, Tzaghi Hanegbi, che Israele vuole conservare «solo» il controllo della sicurezza della Striscia e non dei suoi abitanti. In quella idea di sicurezza entra un po’ di tutto.

L’esercito israeliano avanza dentro Rafah «facendo la massima attenzione a prevenire danni ai civili, anche dopo l’evacuazione della popolazione» ripetono in continuazione i giornali israeliani. Ha raggiunto Yabna, un quartiere centrale, e ha il controllo del 70% del Corridoio Filadelfia lungo il confine con l’Egitto. E colpisce, riferisce il portavoce militare, nelle zone di Brazil e Shaboura dove ci sarebbero due degli ultimi sei battaglioni di Hamas. Invece diversi analisti militari affermano che molti dei combattenti del movimento islamico non sono più a Rafah, sono tornati nel nord dove danno filo da torcere alle truppe israeliane.

Ieri altri tre soldati sono stati uccisi in agguati di combattenti palestinesi. L’aviazione da parte sua riferisce di «circa 130 obiettivi terroristici» colpiti tra martedì e mercoledì. A Jabaliya una Brigata di paracadutisti avrebbe ucciso otto miliziani mentre a Khan Yunis l’esercito israeliano ha annunciato di aver ucciso Ahmed Al Qarra che «aveva preso parte» all’attacco di Hamas del 7 ottobre nel sud di Israele. A queste notizie, il portavoce dell’esercito aggiunge l’«eliminazione» di un gran numero di combattenti palestinesi.

Una raffica di «successi» che fonti dell’intelligence Usa, citate dal quotidiano Politico, confermano parzialmente. Israele sostiene che Hamas sarebbe in ginocchio. Le fonti Usa (Cia?) dicono che «solo» il 30-35% dei miliziani di Hamas sarebbe stato messo fuori combattimento e che il 65% dei tunnel del movimento islamico è intatto. Intanto martedì notte dieci persone tra cui un neonato sono state uccise in un bombardamento su Zawaida. Altre otto sono morte in due raid aerei sui quartieri Daraj e Tuffah di Gaza city e sei sono state uccise e in un attacco contro una casa nell’area di Bir al-Naja. Il bilancio totale delle vittime a Gaza dal 7 ottobre è di 35.709, secondo i dati del ministero della Sanità a Gaza.

Mentre a Rafah resterebbero circa 400mila del milione e mezzo di palestinesi che vi si erano rifugiati, l’Unrwa (Onu) ricorda che il 75% della popolazione di Gaza ha subito spostamenti forzati e che nessun posto è sicuro a Gaza. Un’altra agenzia dell’Onu, l’Unicef, aggiunge che 129 bambini palestinesi e due israeliani bambini, sono stati uccisi negli ultimi otto mesi in Cisgiordania. E che tra le otto persone uccise dall’esercito israeliano nel suo ultimo raid a Jenin ci sono anche due bambini. Il ministro delle finanze israeliano Bezalel Smotrich ieri ha esortato Netanyahu ad attuare un piano in sei punti che includa il blocco dei trasferimenti di fondi palestinesi dell’Autorità Nazionale di Abu Mazen, a cominciare dalla quota destinata a Gaza.

Ha scosso l’opinione pubblica israeliana il filmato diffuso ieri dalle famiglie degli ostaggi di cinque donne militari rapite da Hamas il 7 ottobre e portate a Gaza. Il video è un montaggio delle immagini registrate quel giorno dalle body cam dei miliziani.