La recente vittoria elettorale del Partito socialista in Portogallo con maggioranza assoluta riapre la discussione sul destino della socialdemocrazia in Europa. I socialisti sono infatti tornati (o sono) al governo di Germania, Spagna, Portogallo, Danimarca, Svezia, Finlandia, Norvegia, Malta, Albania, Serbia. C’è quindi una nuova onda politica favorevole rispetto al decennio precedente nel quale – a iniziare dal caso francese – sembrava di essere di fronte all’eclissi progressiva della socialdemocrazia.

La prima novità, a differenza di quanto avvenne dal 1997 fino al 2007 – il decennio di governo di Tony Blair in Gran Bretagna e del cancelliere Gerard Schröder in Germania – è che la ripresa socialista non si verifica sulle idee guida del blairismo, bensì sulla necessità di trovare alternative al liberismo e all’austerity ripensando i cardini del welfare di tradizione europea. Blair aveva invece proposto una sorta di nuova Bad Godesberg: questa volta non il semplice abbandono del marxismo ma di qualsiasi velleità critica rispetto al capitalismo. Gli anni seguiti alla ventennale leadership di Margaret Thatcher a Londra avevano finito per contaminare il laburismo, quando Blair riportò il Labour al governo dopo una lunga assenza (dal 1979 al 1997). Per non parlare della acritica partecipazione del governo blairiano alla guerra in Iraq del 2013. Quanto accaduto in Gran Bretagna avvenne pure in Germania con il governo di Schröder (1998-2005) che spalancò la porta alla cancelliera Angela Merkel (2005-2021).

L’attuale ritorno di appeal del socialismo europeo si accompagna – altra novità – alla fine dei governi monocolori che premiavano i partiti socialdemocratici con massicce adesioni elettorali. In Spagna, Germania, Svezia, Danimarca , per fare degli esempi, i socialisti governano in coabitazione con altre forze, solitamente o Verdi o formazioni della sinistra radicale. Il che è positivo perché i partiti storici sono spinti a rinnovarsi contaminandosi con nuove culture e i partiti nuovi a fare i conti con la questione governo.

La non accettazione dell’austerity accompagna inoltre la ripresa socialista. È un primo passo nel ripensamento di un moderno keynesismo ecologista. La prolungata crisi economica aveva reso impotenti le bandiere socialdemocratiche di piena occupazione e di redistribuzione dei redditi. Anche i riferimenti tradizionali ai lavoratori salariati erano andati in frantumi in tempi di precarietà. Ora si riscopre il laburismo. Nella controffensiva socialdemocratica non c’è ancora però il ripensamento sufficiente sulle identità e i valori possibili di un moderno socialismo nell’era del digitale e della comunicazione permanente. Da noi, in Italia, ad aggravare il quadro ci pensa l’anomalo Pd, che paradossalmente solo nel 2014 (con la gestione di Matteo Renzi) aderì al Partito del socialismo europeo che si era formato nel 1992.

A favorire la ripresa socialdemocratica ha contribuito infine il fatto che sul campo non ci fossero solo macerie. Restavano valide piuttosto alcune verità della tradizione socialista. Ad esempio la distinzione tra mercato e capitalismo: il mercato non si può abolire, il capitalismo va disciplinato nelle sue logiche brutali.
Dalle esperienze più avanzate della socialdemocrazia (Svezia, Danimarca, Germania) ci veniva infatti tramandato il tema sempre attuale della mediazione tra Stato e mercato. Il problema centrale resta perciò ridisegnare il welfare, la conquista più avanzata del secolo scorso. Da questo punto di vista, resta valido l’ammonimento dello svedese Olof Palme: ««La pecora del capitalismo va continuamente tosata. Bisogna fare però attenzione a non ammazzarla». Il problema più grande di questa fase è tuttavia l’assenza della politica del soggetto Europa.

Le politiche di una nuova sinistra non possono tuttavia limitarsi a correggere il mercato e la spontaneità del capitale. La politica che si limita a ridistribuire, con i tempi che corrono, è una buona politica, tuttavia certo non è capace di suscitare passioni ideali e grandi obiettivi di mutamento. Qui si pone il tema della «democrazia» e del suo rilancio dopo la fase del liberismo che ne ha mortificato gli spazi d’azione. Storicamente la socialdemocrazia si è occupata poco di ripensare i modelli democratici europei mentre i suoi successi erano fondati sulle politiche economiche.

Chiudendo sull’Italia, il filone di ricerca sul quale provare a ripartire potrebbe essere quello che diede vita alla breve stagione del Partito d’Azione: diritti, libertà, cittadinanza in un orizzonte di democratizzazione economica, sociale, istituzionale. Conserva suggestione in tale prospettiva la collaborazione tra Antonio Gramsci e Piero Gobetti nella Torino nei primi anni Venti uniti dalla peculiare lettura della storia nazionale (l’autobiografia di una nazione) e del fascismo. Oggi siamo chiamati a riattualizzare quell’incontro tra il marxismo più originale della tradizione comunista/socialista italiana e le culture liberal originate dalla società di massa.