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Blackout a Jabaliya, e arrivano altri soldati. È la guerra continua

Palestinesi cercano tra le macerie di una casa distrutta in seguito agli attacchi aerei israeliani nel campo profughi di Al-MaghaziAlla ricerca di sopravvissuti nel campo profughi di al-Maghazi dopo un raid israeliano – Epa /Mohammed Saber

Medio Oriente Il nord di Gaza sotto assedio e senza aiuti da due settimane, tagliate le reti di comunicazione. Oltre 60 palestinesi uccisi ieri. Biden parla di opportunità di pace dopo la morte di Sinwar, poi ammette: il cessate il fuoco è improbabile

Pubblicato circa 12 ore faEdizione del 19 ottobre 2024

I palestinesi di Gaza non hanno dovuto aspettare per avere conferma della promessa con cui Benyamin Netanyahu ha annunciato giovedì sera l’uccisione del leader di Hamas, Yahya Sinwar: la guerra continua.

Ieri ha assunto la forma dell’inasprimento dell’assedio in corso da due settimane nel nord di Gaza: l’esercito israeliano ha tagliato ogni via di comunicazione verso l’esterno, internet e rete telefonica, e ordinato il dispiegamento di un’altra unità nel campo profughi di Jabaliya.

SIMBOLO E SCINTILLA della Prima Intifada, Jabaliya è oggi l’epicentro della rinnovata offensiva terrestre e aerea nella fascia settentrionale della Striscia e, secondo fonti militari, il «laboratorio» di un’operazione ben più ampia, quel Piano dei Generali che a mezza bocca soldati e colonnelli danno già per partito, seppur non ci siano conferme ufficiali.

Lo svuotamento del nord di Gaza dei suoi 400mila abitanti attuali, in realtà, non è un obiettivo apparso all’improvviso, in questo anno è emerso più volte nelle dichiarazioni governative – più o meno ufficiali – come passo verso la creazione di una zona cuscinetto con il sud di Israele.

E l’offensiva continua: dall’annuncio dell’uccisione di Sinwar a ieri pomeriggio, si contavano almeno 62 palestinesi uccisi (42.500 dal 7 ottobre 2023, più 10mila dispersi e 100mila feriti), di cui 14 a Jabaliya dall’alba alla serata di ieri.

SUL CAMPO, dicono i giornalisti locali, sarebbe calato il silenzio: «Girano notizie del taglio delle reti di comunicazione da parte dell’esercito israeliano – scrive il reporter Tareq Abu Azzoum da Deir al-Balah – Il passo era prevedibile: l’esercito sta cancellando tutto a Jabaliya, case, infrastrutture chiave, torri di comunicazione. Significa che potrebbe allargare l’operazione».

L’arrivo di un’altra unità di soldati confermerebbe i timori: i residenti riportano di un ingente numero di carri armati e fanteria giunti nel cuore del campo e di case e strade fatte detonare. Un bulldozer ha demolito una casa con la famiglia ancora all’interno, mentre si giunge al 18esimo giorno senza aiuti in ingresso.

Ieri l’Onu, con una nuova perizia, ha calcolato in 1,84 milioni (su una popolazione di 2,3) i palestinesi che a Gaza vivono un alto livello di insicurezza alimentare e in 133mila quelli alla fame. L’alto commissario ai diritti umani Volker Turk ha definito la perizia «oltre il terrificante» e ha imputato la crisi alle «conseguenze delle decisioni prese dalle autorità israeliane».

Come i blocchi imposti ad agenzie Onu e ong, di nuovo denunciata giovedì dall’Organizzazione mondiale della Sanità ai cui specialisti è negato il permesso israeliano: da agosto, sono stati bloccati otto organizzazioni e oltre 50 esperti medici e sanitari diretti agli ospedali di Gaza, dice l’Oms.

DI CESSATE il fuoco non si parla. Lo auspicano i leader di Stati uniti e paesi europei che, come le famiglie degli ostaggi, leggono nell’eliminazione si Sinwar una svolta.

Dopo le dichiarazioni di Netanyahu di giovedì («la guerra continua»), però, ieri a parlare è stato Khalil al-Hayya, successore di Sinwar come capo di Hamas a Gaza, che in un messaggio tv ha confermato la morte del leader del movimento («accrescerà solo la nostra forza e resilienza») e legato la liberazione dei circa 100 ostaggi israeliani ancora a Gaza al cessate il fuoco permanente e al ritiro delle truppe israeliane, insieme al rilascio di un ingente numero di prigionieri politici palestinesi.

Le parole di al-Hayya sono una risposta in diretta alle prese di posizioni occidentali. Tra queste le dichiarazioni del presidente statunitense Biden che ha definito l’uccisione di Sinwar «un momento di giustizia» e «un’opportunità per trovare un percorso di pace» a Gaza.

Insomma, approfittare della presunta debolezza di Hamas per riprendere il dialogo – cristallizzato da oltre un mese, denunciava due giorni fa il Qatar – che è l’identica posizione di Scholz (Germania), Macron (Francia) e Starmer (Gran Bretagna).

Per riattivare il tavolo, Biden ha fatto sapere che il suo segretario di Stato Blinken ripartirà per il Medio Oriente, pur ammettendo che una tregua è più probabile per il Libano, molto meno per Gaza: Netanyahu è stato chiaro, Hamas è sì indebolita (da un anno di guerra più che dalla scomparsa di Haniyeh e Sinwar) ma capace di riorganizzarsi come movimento di guerriglia, sempre più orizzontale.

IERI DUE SOLDATI israeliani sono stati feriti a sud del Mar Morto da due uomini armati giunti dalla Giordania. Sono stati entrambi uccisi e in serata l’esercito ha smentito la presenza di un terzo uomo. Amman ha precisato che non si tratta di membri delle forze armate, voce emersa sulla stampa israeliana.

A settembre un civile giordano, Maher Dhiab al-Jazi, camionista al valico di Allenby, aveva aperto il fuoco e ucciso tre guardie israeliane: in una lettera alla famiglia, aveva scritto di aver agito per le atrocità commesse da Israele a Gaza.

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