«Bisogna cambiare modello e smettere di urbanizzare»
Federico Grazzini: «L’attuale modello ha sfruttato il suolo, costretto i fiumi e costruito edifici in maniera eccessiva. Dobbiamo fare l’esatto contrario», spiega il meteorologo di Arpae Emilia-Romagna
Federico Grazzini: «L’attuale modello ha sfruttato il suolo, costretto i fiumi e costruito edifici in maniera eccessiva. Dobbiamo fare l’esatto contrario», spiega il meteorologo di Arpae Emilia-Romagna
Meteorologo senior in Arpae Emilia-Romagna, Federico Grazzini studia da più di 30 anni gli eventi estremi di precipitazione ed è autore di Fa un po’ caldo. Breve storia del riscaldamento climatico e dei suoi protagonisti (Fabbri 2020). Gli abbiamo chiesto un’analisi dell’evento che ha colpito l’Emilia-Romagna.
Grazzini, cosa è accaduto dal punto di vista meteorologico?
Le precipitazioni estreme che hanno interessato l’Emilia-Romagna sono dovute al ciclone chiamato “Boris”. Dopo avere attraversato il nord-est d’Europa, provocando gravi alluvioni, il ciclone è tornato sul Mediterraneo con un movimento retrogrado piuttosto atipico. Qui ha di nuovo preso forza, a causa dell’elevata quantità di calore che si è accumulata in mare per le anomalie termiche – in verità ormai costanti – in corso dal 2022.
Quanta pioggia è caduta?
In 48 ore è precipitata la stessa acqua del 16-17 maggio 2023, quando c’è stata la seconda alluvione in Emilia-Romagna, ovvero più di 350 mm. Ormai siamo abituati a parlare di record, ma purtroppo è così.
Perché questa volta ci sono state meno esondazioni rispetto allo scorso anno?
A settembre il terreno è più secco che a maggio, perciò ha assorbito meglio i 100 mm di pioggia caduti il primo giorno. Il problema è che il secondo giorno sono caduti altri 200 mm, perciò i fiumi si sono alzati fino alla soglia critica nel giro di poche ore. Sono avvenute molte frane in Appennino e rotture di argini in pianura, nelle stesse zone dove si era appena finito di ripristinare le infrastrutture danneggiate dall’alluvione del 2023.
Questi eventi estremi sempre più frequenti sono una conseguenza della crisi climatica?
È ormai evidente che il riscaldamento globale stia contribuendo all’aggravarsi dei fenomeni meteorologici. Per tutta l’estate, nel Mediterraneo si è registrata un’anomalia di temperatura piuttosto fuori scala. Questo provoca un grande accumulo di energia in atmosfera, e di conseguenza una maggiore instabilità e intensità delle perturbazioni. Inoltre, a parità di ventilazione sul mare, una temperatura più elevata significa una maggiore evaporazione, e dunque di vapore acqueo che poi precipita come pioggia. Questa combinazione produce i fenomeni a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi. La forte intensità delle perturbazioni, sommata al mare in burrasca e alle piogge prolungate, è la peggiore situazione che possa accadere.
L’eccessivo consumo di suolo in Emilia-Romagna ha reso il territorio molto impermeabile e fragile di fronte a questi fenomeni. Dopo tre grandi alluvioni avvenute nel giro di 16 mesi, bisognerà iniziare a pensare a qualche seria strategia di adattamento per gli insediamenti urbani?
La questione è enorme. Questi momenti di crisi devono servire a pensare a un futuro diverso. Alla luce degli ultimi eventi, dovrebbe essere normale interrogarsi sulle strade da intraprendere per cambiare direzione. L’attuale modello ha sfruttato il suolo, costretto i fiumi e costruito edifici in maniera eccessiva. Bisognerebbe fare l’esatto contrario: smettere di urbanizzare, lasciare un adeguato spazio ai fiumi e curare soprattutto la montagna e la collina, a partire dalle opere di regimentazione delle acque, che servono a evitare il dissesto idrogeologico. Non si può tornare indietro con la bacchetta magica, ma occorre una grande opera di visione a lungo termine. Ci vorrà tempo.
Da dove cominciare?
Gli argini rotti vanno ricostruiti, è ovvio. Solo per ripristinare quelli danneggiati a maggio 2023, ci è voluto più di un anno. Ma al contempo bisogna ripensare l’intero assetto fluviale. È un lavoro molto complicato, che non si conclude in pochi giorni, ma si deve iniziare a fare. Il territorio va rinaturalizzato e riorganizzato per adattarsi a questi fenomeni ormai in corso. È una sfida enorme, perché implica di rivedere tutti i concetti con cui abbiamo vissuto e gestito il territorio finora. Si può fare solo se inizieremo a ragionare a lungo termine, anziché seguendo gli interessi del momento.
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