Aspettando che il nonno nobile Romano Prodi, questa mattina, dia un po’ di carica alla platea Pd riunita a Roma per disegnare «l’Europa che vogliamo» (la citazione del suo programma del 1996 non è affatto casuale), ai Tiburtina studios i dem appaiono un po’ scarichi. Tolto il riferimento alla necessità di «fermare il tentativo dell’estrema destra di prendere in mano i destini della Ue», al nascente programma per le europee dei progressisti manca ancora il quid.

«Sociale, verde, giusta», si legge nello slogan della due giorni organizzata un po’ in fretta anche per provare a oscurare il mercatino di Natale di Atreju. Ma dietro i bei titoli ancora non si vede la sostanza in grado di appassionare un elettorato sempre più rassegnato e demotivato. «Quando l’Europa soffre, soffre anche la socialdemocrazia», mette a verbale la capogruppo socialista a Bruxelles Iratxe Garcia Perez. E questa è la fotografia dell’oggi, tra le tensioni sul nuovo Patto di stabilità e sui migranti, l’afonia dell’Europa sulle guerre e la speranza dei progressisti che tornino i tempi del Next Generation Eu: il debito comune e gli investimenti per clima e lavoro.

L’aria che tira in Europa però è molto diversa dal 2020, da quella risposta «diversa dall’austerità» che i 27 hanno saputo dare alla pandemia. «Siamo riusciti a evitare la recessione, abbiamo salvato 42 milioni di posti di lavoro», dice dal palco il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, ospite d’onore della prima giornata. E ancora: «Noi guidiamo l’edificio europeo, siamo la sinistra di governo, non possiamo limitarci a dare una pennellata di rosso all’edificio».

Gentiloni difende il lavoro fatto in questi 5 anni, e non potrebbe essere diverso. Ma non c’è pathos. Meno ancora quando cita la «giornata storica» con l’avvio della procedura per l’ingresso dell’Ucraina in Ue. «Quando saremo 34-35 paesi l’Unione assomiglierà più all’Onu che a un’Europa unita, non raccontiamoci storie». Tocca a lui, e prima a Pina Picierno, ribadire la linea dell’invio di armi a Kiev «senza tentennamenti». «Altrimenti non c’è pace ma un’ombra sul futuro di libertà e pace del continente». Toni che in tanti non condividono, in platea e fuori, tra i militanti e gli elettori del Pd.

Non è un caso che Rosy Bindi, tornata come ospite a una iniziativa dem dopo tanti anni, si prenda molti più applausi quando fa un’analisi senza sconti sugli errori del centrosinistra dopo il 1989. «Pensavamo che avesse vinto la democrazia, e invece ha vinto il capitalismo», le parole dell’ex presidente Pd. «L’Europa ha perso la sua funzione sociale e la capacità di orientare le regole del mercato e la destra liberista ha imposto il suo modello di sviluppo, con il capitalismo degli azionisti e del profitto. Non possiamo non fare questa autocritica, anche in riferimento alla Terza Via che non ha saputo reagire in maniera adeguata». ù

«La democrazia sta barcollando in questo continente», prosegue Bindi, «le politiche pubbliche e sui beni comuni, dal lavoro al welfare, sono arretrate dagli anni 80, e quando una democrazia non garantisce più il rispetto dei diritti fondamentali scatta il meccanismo dell’individualismo». «L’Ue riuscirà d arsi una scossa?», la domanda che resta senza risposte. «Ma le persone non credono più in una democrazia che non riesce a orientare la finanziarizzazione dell’economia».

E ancora, sull’Ucraina: «Ora la guerra è dentro l’Europa, l’Ue è consapevole che è la forza della politica e non delle armi che può farla finire?». Schlein applaude, Gentiloni no. Bindi prosegue sul Medio Oriente: «Umiliante vedere i leader europei che vanno a Tel Aviv a dire cose diverse». Se Schlein veniva tacciata come radicale, Bindi si spinge oltre, e rompe il velo di un riformismo senz’anima. Si candida come federatrice del centrosinistra? «Sciocchezze», sibila lei, soddisfatta del calore per il suo ritorno.

Tra i motivi di divisione che solcano la truppa il futuro di Draghi: Guerini e i riformisti lo vorrebbero alla guida della prossima commissione Ue, la leader spinge per il commissario al Lavoro, il lussemburghese Nicolas Schmit, d’accordo con gli altri del Pse. Oggi arriva anche lui a Tiburtina, per un dialogo con Enrico Letta.

Schlein parlerà oggi dopo Prodi. Ieri si è concentrata ad ascoltare i tavoli tematici con circa 800 iscritti. «Dobbiamo completare il progetto di Ventotene perché così incagliato a metà fra nazionalismi ed egoismi non riuscirà a diventare un’Europa più giusta», spiega. «Ad Atreju fanno a gara per accreditarsi con chi comanda, qui da noi si lavora in gruppo». Sul governo ribadisce che «è fragile». «Se trovate una persona che dica che oggi sta meglio di un anno e due mesi fa, benissimo, noi non ne abbiamo ancora trovate». Fuori dalla sala tutti parlano di candidature per le europee. Con il rebus non sciolto: «Ma Elly si candida o no?».