Bilancio e indebitamento nei programmi
Dopo dieci anni dall’epoca della Crisi del Debito Sovrano il tema del bilancio pubblico e del relativo indebitamento è tornato materia per pochi e non spopola più nei media. Nessun stupore quindi che nella campagna elettorale attuale non vi sia una particolare enfasi intorno a questi temi.
Tanto più deludente è il fatto che nei programmi – almeno quelli usciti finora – il tema sia largamente sottostimato. È evidente che le politiche di bilancio costituiscono la cartina di tornasole delle promesse elettorali, poche delle quali possono essere considerate indipendenti dai loro risvolti finanziari.
Nel programma del Pd il termine debito compare una sola volta, in un paragrafo che promette la fine della austerità per aumentare gli investimenti pubblici. Contestualmente il Pd afferma che “le regole di riduzione del debito dovranno essere parametrate al contesto di ogni paese”. Si allude alla stretta disciplina di bilancio invalsa nella Ue fra il 2010-13 con un complesso sistema di vigilanza sull’erario degli Stati membri per assicurare una riduzione del rapporto debito/pil di un ventesimo annuo della quota eccedente il 20%. Un percorso assurdo che infatti non è stato rispettato da nessuno.
Fra le assurdità più manifeste è fissare una discesa di eguale percentuale a prescindere dal fatto che lo Stato in questione sia più o meno povero, industrializzato, ecc. Ma tale insensatezza è direttamente legata al fatto che i famosi parametri di Maastricht siano anch’essi uguali per tutti (massimo 60% dei bot/pil, massimo 3% deficit di bilancio). Questo il programma del Pd lo ignora, limitandosi ad evocare in maniera idealistica l’unità europea, nello stile della più rarefatta ideologia unionista.
Non molto meglio va con la coalizione di destra. Nel Programma condiviso (17 pagine con affermazioni molto semplificate) non compaiono i termini debito o bilancio. Si avanza solo il proposito di modificare norme e governance europea a favore di “crescita stabile e duratura e piena occupazione”. Decisamente poco.
Maggiore ampiezza ha il Programma della Lega, che si allarga per ben 200 pagine, col dettaglio di molte proposte. Purtroppo però la politica di bilancio continua a restare assente, se non per il versante delle entrare: mentre il debito pubblico non compare, c’è molto sulla politica fiscale in particolare la flat tax; in generale le promesse sono di un generale abbassamento del prelievo fiscale, il che comporta di necessità un diminuzione del gettito. Come si pensa di gestire un più ampio deficit? Non è chiaro.
A liberali e progressisti che si gettassero a denunciare la “irresponsabilità fiscale” è agevole ricordare che Giorgia Meloni ha sempre dichiarato adesione al pareggio di bilancio “per non gravare sulle generazioni future”.
Andrà forse ricordato che il pareggio di bilancio è stato inserito in Costituzione nel 2012 sotto Monti con L. Cost 1/2012 su pressione della nuova governance europea (in specie il famoso Fiscal Compact), e che è funzionale ad essa. Dal 2020, appigliandosi alla approvazione di un debito comune (che chissà se verrà rinnovato) di 750 miliardi per un’area con un PIL di 17mila miliardi, molti hanno speranzosamente intravisto una svolta meno rigorista della Ue. A raffreddare gli animi giunge in questa estate un documento di posizionamento del Ministero tedesco per gli Affari Economici (considerato meno ortodosso di quello delle finanze, saldamente guidato dal falco liberale Lindner) che al netto di qualche marginale concessione conferma l’impianto attuale: riduzione del debito “eccessivo” con un termine intermedio per monitorare meglio, scorporando gli investimenti, con regole più semplici o chiare.
In realtà pare una proposta che appare funzionale non tanto a rendere la disciplina di bilancio più morbida, quanto a imbrigliare le inevitabili eccezioni indotte dalla necessità di agire contro le crisi. La solita minestra riscaldata vecchia di anni che imbelletta la solita disciplina unionista, incrostata dal solito vecchiume gradito all’ortodossia economica e ai poteri forti: l’austerità.
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