Bifest, neorealismo e i suoi fratelli, con un omaggio all’Iran
Velo o non velo, l’Iran è oggi un Paese da evitare e un cinema da guardare. Lo ricorda Felice Laudadio, direttore del Bif&st, che quest’anno ha « iranizzato » al massimo il Festval pugliese: preapertura con un documentario sui diritti umani violati prodotto da Amnesty International, due film iraniani in concorso (No End e Winners) e in più, in una delle belle mattinate-dibattito al Petruzzelli, Leila e i suoi fratelli di Saeed Roustaee, Premio Fipresci a Cannes. Com’è noto, la protagonista, attrice tra le più popolari in Iran, è stata arrestata e imprigionata ed è tuttora ai domiciliari.
Si aggiunge, in questo « made in Iran » grande schermo, la dedica gigante a Jafar Panahi: al regista da anni imprigionato in patria senza possibilità di comunicare, nemmeno via skype, il Bif&st ha reso omaggio consegnandogli a distanza il Premio Fellini e proiettando Il cerchio (Leone d’oro 2000 a Venezia). Inoltre – in nome di una protesta civile contro ogni forma di censura e ottusità iraniana all’italiana – il Festival ha proiettato per reazione il capolavoro Roma città aperta, che un idiota diktat della vigilia, da parte d’un sindaco del Veneto, aveva vietato perché «film sovversivo».
È facile, per Laudadio, che con David Grieco ha condotto l’incontro, ricordare come la grande stagione cinematografica di Kiarostami, Makhmalbaff, Panahi, sia stata l’equivalente del nostro cinema migliore, quello del Neorealismo. Gli danno man forte Marco Bellocchio, Maya Sansa, Volker Schloendorff, da quest’anno presidente onorario del Bif&st. «Dramma infinito », dice Bellocchio, che ha portato a Bari il bellissimo Esterno Notte, con Fabrizio Gifuni. Mentre Schloendorff evidenzia acrobaticamnte simmetrie tra Leila e i suoi fratelli, sui disastri economici prodotti dalla dissennata politica iraniana, e Rocco e i suoi fratelli, sugli sradicamenti sociali dell’immigrazione nel dopoguerra, Maya Sansa, di padre iraniano, sostiene la rivoluzione in atto dove internet è diventato il mezzo principale di partecipazione » ed evoca la tragedia di ragazzi impiccati e di ragazze «suicidate dal regime degli ayatollah: «E pensare – continua l’attrice italiana, residente a Londra – che l’Iran, dove sono tornata una volta sola, è un Paese meraviglioso, con una bella differenza tra pubblico e privato, tra fuori e dentro: all’interno delle case, trovi famiglie coltissime, con la moglie in hot pants mentre il marito in cucina fa da mangiare o lava i piatti. È questo che l’isteria dei fondamentalisti non vuole».
Diventata per dieci giorni rifugio cinematografico degli autori perseguitati in Iran, Bari s’è gemellata idealmente alle mille città d’Europa che offrono rifugio politico a autori in fuga dal regime. Tra questi, uno dei tanti registi iraniani all’estero, Nassan Nazer, al suo quinto film con Winners, in concorso al Bif&st nella panoramica internazionale, di cui giuria, presieduta da Jean A. Gili e composta tra gli altri da Valeria Cavalli e Grazyna Torbicka, ha premiato il norvegese Storm, formidabile opera prima della giovane Erika Calmeyer. Dal 2000 a Londra, come lui stesso racconta, «per poter continuare a esprimermi liberamente nel cinema », Nassan Nazer, che riconosce i suoi grandi debiti di cineasta verso Panahi e Kiarostami, è pessimista su una soluzione a breve termine del dramma iraniano: « Nessuna ipotesi è ancora possibile. La situazione del mio Paese d’origine è catastrofica. Dal 2011 sono autorizzato a rientrare in Iran: ma ogni volta l’ansia mi divora il cuore. Oggi gli studenti continuano a combattere: penso che ognuno – giornalista, artista, studente – debba fare la sua parte… Ognuno di noi ha la stessa finalità : la salvaguardia dei diritti, quelli della libertà e delle donne». Ciò non toglie che la sua constatazione finale sia desolata: «C’è un paradosso in Iran : ci sono tanti, troppi – per la maggior parte, quelli che non hanno accesso ai social – che non conoscono la situazione e che non vogliono nemmeno conoscerla».
Il tam-tam contro i soprusi continua però a diffondersi in Europa, dove la Iranian Artist’s Exhibition Responds to Oppression & Denial of Rights espone a Londra alla A. Gallery le opere di Raoof Haghighi, cresciuto nelle spire del regime autoritario, con la serie Adam & Eve sulla ipocrisia del velo coatto (che, perché portato «in modo sbagliato », ha fatto giustiziare una sedicenne). E a Parigi, città tra le più sensibili ai diritti dell’uomo (Liberté, Egalité, Fraternité), la regista iraniana espatriata Marjane Satrapi, già autrice dell’autobiografico Persepolis, tratto dal suo libro, edito anche in Italia, continua con il suo cinema d’esule: in Usa (Voices) o in Gran Bretagna (Marie Curie, 2020). Sempre a Parigi, dove Roma città aperta è rinato il 7 aprile per un ciclo sul fascismo all’Institut Culturel Italien, continua a vivere la protagonista del magnifico Pour un instant, la liberté di un regista iraniano ora in Austria, sulla disperante odissea di fuga, attraverso Turchia, Balcani e Europa: proiettato dieci anni fa al MAV di Ercolano, il film ha una sequenza che cita Ladri di biciclette, a riprova delle analogie Iran-Neorealismo tra due cinematografie di risveglio e di lotta.
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