Biennale Taipei, pianeti che indagano le tante distopie terrestri
Jean Katambai da «You and I Don’t Live on the Same Planet»
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Biennale Taipei, pianeti che indagano le tante distopie terrestri

La mostra Dodicesima edizione della kermesse, ospitata al Centre Pompidou di Metz: «You and I Don’t Live on the Same Planet», a cura di Bruno Latour e Martin Guinard
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 2 aprile 2022

Il frame narrativo e investigativo della 12 edizione della Biennale di Taipei, ospitata al Centre Pompidou di Metz, delinea un programma di ecologia politica ben strutturato. Il titolo You and I Don’t Live on the Same Planet è esplicativo perché i curatori Bruno Latour e Martin Guinard si sono serviti della metafora di un planetario ipotetico, che abbraccia discipline umanistiche e scientifiche per visualizzare, attraverso le opere di artisti, filmmaker, scienziati e attivisti, idee e paradigmi presenti nella società contemporanea.  

Il primo pianeta riguarda la globalizzazione le sue promesse mancate. Le installazioni del congolese Jean Katambayi Mukendi, fragili assemblage realizzati con cartone, rame e forniture elettriche in disuso, visualizzano le condizioni di vita nella Repubblica Democratica del Congo, in cui le industrie estrattive del rame, gestite da potenti multinazionali, condannano la popolazione locale a vivere in condizioni di povertà e sfruttamento. Altrettanto attenti alle usurpazioni in Congo sono i progetti di indagine forense di Franck Leibovici e Julien Seroussi, il dipinto di Huang Hai-Hsin ritrae immagini di terremoti, rivolte, inondazioni accanto a fabbriche di combustibili fossili e di centrali nucleari, mentre il collettivo School of Mutants si è occupato del progetto di cooperazione transnazionale University of African Future, ideato da Taipei a Dakar. Progetto mai completato, che il collettivo ha messo in relazione con altri progetti educativi utopici. 

L’artista e attivista Jonas Staal ha selezionato per il pianeta “Sicurezza” i documentari realizzati da Steve Bannon. L’ex capo stratega di Donald Trump e ispiratore dell’Alt Right, è autore di film che descrivono un futuro afflitto da spaventose crisi economiche, edonismi e fondamentalismo islamico, dove solo un leader forte può difendere i valori della famiglia, della razza, del cristianesimo, della potenza militare e dell’economia statunitense. Il filmmaker James T. Hong ha invece disegnato lo storyboard del film di fantascienza, The Enemy of My Enemy is My Friend, il primo per l’industria cinematografica taiwanese, che non ha mai prodotto un film di quel genere. Film riguardante un conflitto armato a Taiwan che coinvolge forze armate provenienti da Cina, Stati Uniti e Giappone, scenario distopico che i taiwanesi cercano di esorcizzare.

Altre possibilità, per non farsi sommergere da sovranismi e paranoie securitarie/guerrafondaie sono quelle suggerite dal pianeta Gaia. L’ipotesi Gaia è stata formulata dallo scienziato James Lovelock e dalla biologa Lynn Margulis, presenti in mostra con un diagramma, che visualizza quanto la vita sulla terra sia regolata come un sistema complesso, autoregolante e fragile, in cui le specie e i diversi agenti naturali modellano l’ecosistema. 

La complessa videoinstallazione Frame of Reference I, II, realizzata dalla filmmaker Su Yu-Hsin, in collaborazione con Centro di ricerca tedesco per le geoscienze e NCTU (Disaster Prevention and Water Environment Research Center), ha mostrato i processi di erosione della gola di Taroko, spettacolare canyon di marmo scavato dalla corrente d’acqua del fiume Li-Wu, a Taiwan. Ha riprenso gli scienziati al lavoro e in laboratorio, ha raccolto immagini e dati provenienti da stazioni meteorologiche, sismometri e dispositivi di visualizzazione scientifica. Diverso è stato l’approccio dell’artista taiwanese Chang Yung-Ta, che ha visualizzato in modo scultoreo tale processo geologico. L’installazione Scape.unseen è composta da nove tubi, in cui sono presenti dei piccoli cilindri di marmo, su cui viene riversata acqua che riproduce la turbolenza dell’acqua del fiume. Riproduzione possibile grazie a un algoritmo che ne ricrea la velocità, basandosi sui dati raccolti nel corso degli anni. 

Nomeda & Gediminas Urbonas con l’installazione The Swamp Intelligence indagano lo spazio acquitrinoso della palude, ecosistema soppresso con bonifiche e il prosciugamento delle acque. All’interno di una parete del museo è visibile un frammento di una palude, in cui una rete neurale artificiale mostra le visioni della palude prima di essere prosciugata. Immagini enigmatiche e di grande impatto visivo.

Per chi non vuole più vivere sulla Terra, perché diventata inabitabile a causa dell’emergenza climatica o per i tanti conflitti, c’è il pianeta Fuga. Le soluzioni per la fuga possono essere molteplici come l’occupazione di marte da parte di multimiliardari come Elon Musk, oppure, visto che per raggiungere Marte potrebbe volerci più tempo del previsto, la costruzione di bunker sotterranei, vissuti come panic room, pronti per ogni catastrofe. Soluzioni che non possono essere però condivise con i miliardi di abitanti del pianeta terra. Femke Herrgraven con l’installazione Corrupted Air—Act VI, costruisce una stanza senza finestre, con essenziali strutture metalliche, riserve d’acqua e libri come Bunker Archaeology di Paul Virilio. Gli unici segni di vita sono tre schermi che presentano gli avatar di tre creature estinte: un uccello elefante, un artropode marino e una lucertola, che discutono dell’arrivo de l’ultimo uomo, una figura che, come Godot, alla fine non apparirà mai. 

La Biennale termina con il pianeta Realtà alternative e con l’installazione Mass di June Balthazard e Pierre Pauze. È un film di fantascienza ambientato in un futuro indeterminato, dove la crisi ambientale ha causato un’oscurità parziale. Nel film appaiono anche gli scienziati Michel Mayor (vincitore del Premio Nobel per la Fisica 2019 per la scoperta degli esopianeti) e Chiara Mariotti (fisica al CERN), che interpretano sè stessi, mentre discutono sull’origine dell’universo, sulle teorie scientifiche sul vuoto, e sul futuro della vita sulla terra.  

Il concept della Biennale, visitabile fino al 4 aprile, è ambizioso. È interessante vedere un filosofo della scienza come Bruno Latour al lavoro in ambito artistico, come già era accaduto con Jean François Lyotard e Paul Virilio, in veste di curatori di mostre. Gli artisti selezionati di certo non possono avere soluzioni per risolvere le varie emergenze planetarie, ma cercano di comprenderne la complessità, tra esplorazioni visionarie e la messa in discussione di paradigmi scientifici.

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