La guerra in Afghanistan, conclusa con la vittoria dei Talebani nell’agosto 2021, continua a creare polemiche.

Meno di due mesi fa, Washington e Kabul si rinfacciavano reciprocamente il mancato rispetto dell’accordo di Doha, il patto firmato nella capitale del Qatar nel febbraio 2020 per il ritiro dei soldati statunitensi, in cambio di un vago impegno dei Talebani nel negoziato intra-afghano e nel controterrorismo. Da due giorni, invece, la polemica è tutta nel perimetro della politica statunitense. Anche se ci sono diverse lezioni anche per chi ne è fuori.

La Casa Bianca ha infatti reso pubblico il 6 aprile un rapporto di 12 pagine: la sintesi di una rapporto più ampio, redatto sotto la guida del Consiglio di sicurezza nazionale, sul ritiro dall’Afghanistan, nell’agosto 2021. La tesi principale è una: gran parte delle responsabilità del ritiro disastroso – che pure Biden aveva rivendicato come un successo, subito dopo – è di Donald Trump. E in parte dell’intelligence, incapace di vedere quel che andava visto: la forza dei Talebani, la debolezza del governo di Kabul, la possibilità che il castello di carte, corruzione, occupazione militare cadesse così velocemente.

BIDEN, SI LEGGE NEL RAPPORTO – presentato alla stampa dal portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, John Kirby – aveva le mani legate. «Le scelte del Presidente Biden su come eseguire il ritiro dall’Afghanistan sono state fortemente vincolate dalle condizioni create dal suo predecessore». Il quale aveva lasciato «una data per il ritiro, ma nessun piano per eseguirlo». Sul fronte militare, quando il presidente Biden entra in carica, il 20 gennaio 2021, i Talebani si trovano «nella posizione militare più forte che avessero mai avuto dal 2001, controllando o contestando quasi la metà del Paese. Allo stesso tempo, gli Stati uniti avevano solo 2.500 truppe sul terreno, il numero più basso di truppe sul terreno dal 2001».

SUL FRONTE POLITICO, quando Biden entra in carica i Talebani hanno già incassato la firma dell’accordo di Doha. Così squilibrato che Kirby ha avuto gioco facile nel denunciarne l’inadeguatezza: Trump infatti, pensando di capitalizzare nelle successive elezioni, poi perse, aveva optato per un dialogo bilaterale, tra Usa e Talebani, escludendo del tutto il governo di Kabul. Ed è stato solo un caso che il suo invito ai Talebani a Camp David, in occasione del ventennale dagli attacchi alle Torri Gemelle, sia saltato all’ultimo.

SECONDO LA SINTESI del rapporto (molte pagine rimangono secretate), il ritiro dunque era giusto, necessario. Le premesse, create da Trump, lo hanno reso difficile. Biden aveva due alternative, una volta insediatosi: confermare l’accordo di Doha o rilanciare la guerra contro i Talebani. Scelta la prima opzione, il resto è stato conseguente. Colpa dell’intelligence e di Trump, il quale giovedì ha dichiarato sui social che quegli «imbecilli» dei funzionari della Casa Bianca sono responsabili «per una resa gravemente incompetente in Afghanistan». «L’unico responsabile è Biden, nessun altro!».

PER TIRARE LE SOMME: Biden, Commander in Chief solo quando conviene, si autoassolve. I Talebani, tra Kandahar e Kabul, se la ridono. E Washington, tutta presa a bisticciare tra Repubblicani e Democratici sulle responsabilità dell’uscita disastrosa, perde un’altra occasione per affrontare la questione più urgente: che fare, ora, con i Talebani al potere? Quale la posizione degli Stati uniti? Quella del governo italiano, incapace perfino di fare un vero bilancio su 20 anni di presenza militare, rimane ancora più misteriosa.