Nelle plumbee atmosfere della Guerra Fredda, le due metà di Berlino vivono di estenuanti opposizioni. La più marcata, anche se la meno osservata dagli storici, coinvolge lo zoo di Berlino Ovest e il Tierpark, il parco degli animali di Berlino Est. Che non si tratti di questione marginale lo evidenzia il giornalista e scrittore tedesco Jan Mohnhaupt nel suo saggio d’esordio, Lo zoo degli altri Un’incredibile storia vera nella Berlino della Guerra Fredda, apparso nel 2017 e proposto ora da Bollati Boringhieri (pp. 224, euro 28,00) nella traduzione di Claudia Acher Marinelli (due anni fa è stato pubblicato dallo stesso editore Bestiario nazista, il suo studio successivo). Perché proprio gli zoo sono al centro dell’attenzione nella città divisa? Al costitutivo amore dei berlinesi per gli animali si associa una condizione psicologica: gli zoo sono specchi. Recluse dalla trama delle linee di confine, le due parti della città sono esse stesse degli zoo, di cui replicano anche la struttura rigidamente gerarchizzata. Ma è altrettanto chiaro che la competizione sia alimentata dal ricorso agli animali come strumenti di propaganda, e, soprattutto, dalla personalità dei due direttori, Heinrich Dathe, fondatore del Tierpark, e Heinz Georg Klös, responsabile dello zoo di Berlino.

I due certamente non si amano, ma non è la politica a dividerli. Piuttosto, a entrare in gioco sono i loro punti di contatto. Entrambi vivono per i loro animali, e, spinti dalla furia accumulatoria dei collezionisti, pur di superare il rivale, «quello che possono ottenere, lo prendono». Dathe ha quindici anni più di Klös, è un ornitologo di fama con tanto di cattedra universitaria di zoologia, e un passato con qualche macchia. Nel 1932, era entrato nel partito nazionalsocialista. Per ripulirsi l’immagine e ottenere un incarico allo zoo di Lipsia, nel dopoguerra ha dovuto dimostrare di aver preso le distanze dagli ideali da «figlio degli anni Venti». Klös invece è un veterinario, titolo che i direttori degli zoo di norma disprezzano, considerandolo poco adatto al ruolo. Quando nel 1956 arriva a Berlino dallo zoo di Osnabrück, ha ventotto anni ed è il più giovane tra i direttori tedeschi. Motivi per non piacere a Dathe ne ha parecchi, ma uno è quello decisivo: aver ottenuto l’incarico approfittando del licenziamento della storica direttrice dello zoo, Katharine Heinroth, legata da sincera amicizia a Dathe.

Pur innescata dalla contrapposizione personale, la rivalità è costantemente accesa dalla natura di Berlino, che non è una città come le altre né per i suoi abitanti, né per chi governa i due paesi, né per chi, come Usa e Urss, vi esercita un’occhiuta tutela a distanza. Basti pensare all’origine del Tierpark. Si tratta di una decisione presa dal governo della Repubblica Democratica Tedesca nel 1953 per evitare che gli abitanti della parte est si rechino regolarmente nello zoo situato a ovest, nel settore britannico. L’area prescelta è l’elemento che convince uno scettico Dathe ad accettare l’incarico: il parco di Friedrichsfelde, allestito nell’Ottocento dal paesaggista prussiano Peter Joseph Lenne intorno alla tenuta e al castello della nobile famiglia Von Treskow. Quando viene inaugurato, nel ’55, le dimensioni del Tierpark sovrastano nettamente quelle dello zoo, di cui è cinque volte più grande. Il direttore vuole creare un luogo destinato al pubblico e non agli esperti del settore.

Lo caratterizzano recinti spaziosi, senza stalle e gabbie: «Niente dovrà distogliere gli sguardi dall’animale». I lavori per la costruzione del Tierpark vedono il concorso di numerosissimi volontari e i primi animali che vi fanno ingresso sono regali di altri zoo o di aziende. La Stasi, la polizia politica, mette a disposizione due orsi dagli occhiali. Se per il governo la fondazione del Tierpark è «motivo d’orgoglio», non è però necessario molto tempo per capire che l’estensione della superficie, unita alla cronica difficoltà della Ddr nel reperire i materiali da costruzione necessari, ostacolano la realizzazione degli ambienti previsti da Dathe. L’impressione è quella di un luogo intralciato da interminabili lavori in corso.

Allo zoo i problemi sono di natura opposta. Nato nel 1844 nel cuore di Berlino grazie all’azionariato popolare, ormai soffoca per l’assenza di spazi. Klös, un uomo «ostinato, abile con le parole e buon tattico», deve inventarsi di continuo soluzioni per collocare i nuovi arrivati e, come è suo intento, trasformare «il parco faunistico in un vero giardino zoologico».

In entrambi i casi, quanto colpisce è la scarsa considerazione riservata agli animali. Dathe e Klös sicuramente li amano, ma come un collezionista adora i pezzi della propria raccolta. Mohnhaupt lo spiega. Solo a partire dagli anni settanta si avverte un cambiamento di mentalità, che si configura come attenzione nei confronti degli animali in sé. Ma nessuno dei direttori degli zoo dell’epoca ha mai avuto a che fare con movimenti animalisti né con atteggiamenti critici nei confronti del concetto stesso di zoo. Né Dathe, né Klös si sono mai posti il problema di come gli animali arrivino nei loro zoo, la pratica della cattura è accettata. Né le condizioni in cui vengono tenuti sono oggetto di particolari preoccupazioni: ci sono elefanti messi alla catena durante la notte al Tierpark e alligatori che non riescono ad aprire la bocca tanto sono anguste le loro vasche. L’idea dominante è che gli animali siano «solo» bestie alle quali certamente rivolgere cure, ma senza esagerare. Quanto conta, soprattutto dalla costruzione del Muro alla conclusione della Guerra Fredda, è vincere la partita della politica. Di conseguenza, dal 1961, i direttori non devono tanto «propiziarsi il favore dei visitatori, bensì quello dei grandi animali di Bonn e di Berlino Est». E gli animali non umani diventano merce di scambio.

Così leggiamo dell’incredibile serie di prove cui è sottoposta Chi Chi, il panda gigante che Dathe ottiene nel 1958. Catturata in Cina, viene trasferita a Mosca, in attesa di essere venduta negli Stati Uniti. Ma l’amministrazione americana, complice un embargo nei confronti dei «prodotti» cinesi, si chiama fuori. Grazie alla conoscenza del commerciante che sta organizzando il lucroso traffico, Dathe ottiene provvisoriamente Chi Chi, determinando un vertiginoso aumento delle visite e un’ottima risonanza internazionale. Per il panda si tratta però solo di una sosta, visto che ad acquistarla a titolo definitivo è lo zoo di Londra, dove, attraverso il logo realizzato da Peter Scott, diventa il simbolo del WWF. Al colpo di Dathe risponde Klös l’anno dopo, assicurandosi, come spesso gli riesce a prezzi stracciati, il giovane rinoceronte indiano Arjun. Ma, per avere due panda, deve aspettare gli anni settanta, i primi segnali di apertura politica della Cina e la mediazione del cancelliere Schmidt.

Spesso gli animali arrivano agli zoo con gli uomini politici o partono con loro. Quando nel 1962 atterra a Berlino Ovest Robert Kennedy, porta in regalo un’aquila di mare Testabianca. Willy Brandt, da borgomastro e da cancelliere, è solito viaggiare con un orso da donare in occasione degli incontri internazionali. Il crollo del muro segna la fine di un’epoca.

Dal 2007 un’unica direzione sovrintende alle due istituzioni, anche se l’area di influenza dei due zoo, dopo oltre trent’anni, continua a dividere la parte orientale da quella occidentale della città. L’antica separazione insomma non è ancora morta, come la competizione che ne discende. Ad accenderla però non è più la politica, ma l’economia.