Bere eccessivo, culture diverse fanno la differenza
È stato da poco pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Drugs, Habits and Social Policy un articolo basato su una ricerca qualitativa che aveva l’obiettivo di analizzare i significati culturali attribuiti al bere eccessivo in Italia, Danimarca ed Estonia (Rolando et al., 2024). I tre Paesi sono stati scelti come casi studio rappresentanti tre diverse aree geografiche (mediterranea, nordica e dell’Europa dell’est) i cui dati relativi alle quantità di alcolici consumate e in particolare agli episodi di bere eccessivo – decisamente più elevati in Danimarca e in Estonia rispetto all’Italia – riflettono «culture del bere» tradizionali differenti.
In ogni Paese sono stati organizzati otto focus group, che hanno visto il coinvolgimento in totale di 128 partecipanti, maschi e femmine, di età compresa tra i 20 e i 40 anni. Le conversazioni di gruppo, stimolate dalla visione di due video, sono state analizzate con lo scopo di approfondire in particolare le norme sociali che definiscono i comportamenti di consumo accettabili.
Quelli ritenuti inaccettabili sono spesso rintracciabili nei processi di othering, ovvero nella presa di distanza attraverso la critica e l’attribuzione ad «altri» variamente definiti: tipicamente giovani, stranieri, classi sociali inferiori.
Nonostante i processi di globalizzazione abbiano contribuito a rendere più simili gli stili di consumo, lo studio mostra che alcuni aspetti chiave delle culture del bere tradizionali, in particolare l’atteggiamento e i significati attribuiti all’ubriachezza, persistono e sono ancora utili a spiegare dati epidemiologici molto diversi. Sono inoltre strettamente legati a una diversa concettualizzazione dei rischi e del piacere.
Posto che la dimensione edonistica è la principale motivazione per bere in tutti e tre i Paesi, varia invece il modo in cui il piacere viene definito. In Italia il bere fino ad ubriacarsi è un comportamento attribuito prevalentemente ai giovani e parzialmente giustificato dall’inesperienza e dal desiderio di sperimentazione tipico di questa età, tuttavia superare la soglia dell’ubriachezza significa incorrere in effetti sgradevoli e indesiderati, tra i quali, oltre al malessere fisico, c’è anche il rischio di rovinare la serata agli amici costringendoli a prendersi cura dell’ubriaco.
Al contrario in Danimarca bere fino a ubriacarsi è dato per scontato e i postumi della sbronza, sebbene non piacevoli, sono attesi e interpretati come parte integrante del divertimento. Non solo le persone non prendono le distanze dall’ubriachezza attribuendola ad altri, ma in qualche modo le attribuiscono un valore culturale positivo – la capacità di opporsi alle continue richieste autocontrollo tipiche delle società neoliberiste – e la rendono oggetto di racconti «mitici» che includono elementi di vanto e di costruzione identitaria. In Estonia l’influenza delle trasformazioni socioeconomiche sulle rappresentazioni degli alcolici è evidente e produce norme sociali meno coerenti e più ambigue. Infatti da un lato l’ubriachezza è criticata e attribuita alla vecchia e «rozza» società contadina, dall’altro lato i frequenti riferimenti al prezzo delle bevande alcoliche e alla difficoltà di accedere alle bevande (occidentali) più care suggerisce che il bere, incluso quello eccessivo, assume qui anche il significato di distinzione socioeconomica.
Lo studio conclude che le campagne di prevenzione, per avere gli effetti desiderati, dovrebbero tenere in considerazione i valori simbolici legati al bere, sia quelli radicati nelle tradizioni, che quelli legati alle trasformazioni sociali che possono avere effetti non voluti. È il caso della Danimarca, dove la maggiore equità di genere si traduce in consumi più elevati anche tra le donne.
*L’autrice è sociologa, responsabile settore ricerca Eclectica+
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