Benvenuti nel nuovo Stato islamico dell’Africa
L'avanzata jihadista nel Sahel. Boom di adesioni, per motivi non solo religiosi, dopo il fallito intervento militare francese
L'avanzata jihadista nel Sahel. Boom di adesioni, per motivi non solo religiosi, dopo il fallito intervento militare francese
«Una tale dimostrazione di forza da parte dello Stato Islamico non ha precedenti», scrive sul quotidiano francese Le Figaro Wassim Nasr, esperto di jihadismo africano.
Dopo la recente morte del califfo dello Stato Islamico Abu al Hassan al-Hachimi al-Qurachi, annunciata il 30 novembre nella zona iracheno-siriana, i numerosi gruppi affiliati al network mondiale dello Stato Islamico hanno giurato fedeltà al suo successore, Abu al-Hussein al-Husseini al-Qurachi.
RISPONDENDO ALL’APPELLO del portavoce dell’organizzazione terroristica, le varie “province” dello Stato Islamico in Africa, dalla Libia al Mozambico, hanno inscenato sui principali social – Telegram in particolare – la proclamazione di fedeltà, mettendo in mostra il gran numero di miliziani che appartengono al gruppo.
Sono passati pochi anni dalla definitiva caduta del califfato dello Stato Islamico in Siria e Iraq e l’Isis viene dato per definitivamente «sconfitto», ma attualmente un recente report pubblicato da Jihad Analytics, società che monitora il jihad globale, afferma che le sue filiali africane – Stato Islamico del Gran Sahara (Eigs) nel Sahel, Stato islamico dell’Africa Occidentale (Iswap) nel Lago Ciad, Stato Islamico dell’Africa centrale (Iscap) nella Repubblica democratica del Congo e in Mozambico – promuovono «un nuovo radicalismo che sta diventando sempre più micidiale e fiorente».
Un indicatore è la sempre maggiore visibilità dei gruppi dell’Isis africani su Al-Naba, rivista legata al gruppo, oltre al fatto che 7 delle 13 province dello Stato Islamico nel mondo sono in Africa e sono tra le più importanti in termini di «numero di miliziani, territorio controllato e ricchezza».
Gli esperti sono comunque unanimi: il jihad africano non è gemello del suo “avatar” nel Levante con radici e sviluppi totalmente differenti. «Il jihad africano si tinge di qualcosa di più del radicalismo – riassume Hassane Kone, ricercatore presso l’Institute for Security Studies (Iss) di Dakar – molte persone hanno aderito allo Stato Islamico per motivi non necessariamente religiosi come l’esclusione sociale, la povertà o gli abusi da parte dei militari».
«Oltre ad una massiccia campagna di reclutamento, in questi mesi è in atto anche lo spostamento di jihadisti arabi verso il lago Ciad (Nigeria, Camerun, Ciad), il Sahel e la zona del Mozambico: la logica è quella di creare un network unico che possa supportare le differenti filiali», ha indicato Nasr.
Se da una parte la risposta militare francese della missione Barkhane e quella europea Takuba sono servite a poco perché non sono state supportate da una risposta in termini di governance per contrastare povertà, abbandono e violenze dei militari nei diversi stati africani coinvolti, dall’altra le iniziative locali sono miseramente naufragate.
Un esempio evidente è la forza congiunta multinazionale (Mnjtf) che ha visto coinvolti gli eserciti di Ciad, Niger, Nigeria, Benin e Camerun dove, al contrario, lo Stato Islamico dell’Africa occidentale (Iswap) è diventato negli ultimi anni il principale gruppo nel continente e governa numerose aree nella zona del lago Ciad.
ALTRETTANTO VANA è al momento la missione del G-5 Sahel (Mauritania, Niger, Ciad, Burkina Faso e Mali) dove anche in questo caso lo Stato Islamico del Gran Sahara (Eigs) sembra avanzare e crescere senza alcuna forma di contrasto, anche ai danni del Gruppo di Sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim), rivale fazione qaedista nel Sahel.
«Il coordinamento è pessimo – afferma Nasr – come deficitarie sono state le scelte dei diversi governi locali che hanno permesso allo Stato Islamico di acquisire maggiore forza in tutta l’area con l’obiettivo, ormai sempre più concreto, di raggiungere anche i paesi del Golfo di Guinea».
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