Quello del papa emerito Benedetto XVI doveva essere un funerale solenne ma «sobrio», e così è stato. Lo aveva chiesto – pare – lo stesso Ratzinger. Soprattutto lo voleva la Santa sede: differenziare il rito inedito delle esequie di un pontefice emerito rispetto a quello di uno regnante per evitare confusioni fra i due papi e rendere chiaro chi governa la Chiesa cattolica romana.

ALLE 8.50 DEL MATTINO, quando San Pietro è ancora avvolta da una fitta foschia, la bara di cipresso che contiene il corpo di Ratzinger viene portata a spalla e deposta sul sagrato da dodici sediari. In prima fila c’è monsignor George Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, che si avvicina, deposita sulla cassa un Vangelo e torna al proprio posto, dove resterà fino alla fine del rito, in silenzio, senza concelebrare la messa insieme a papa Francesco, ai 120 cardinali, ai 400 vescovi e ai 3.700 preti presenti.

La piazza è piena, ma tutt’altro che stracolma, ci sono molti spazi vuoti: circa 5 0mila persone, secondo le cifre fornite dalla gendarmeria vaticana, niente a che vedere con il milione di fedeli dichiarati per il funerale di Wojtyla. Ci sono anche le delegazioni di 20 Paesi, ma solo due sono quelle ufficiali, perché non si tratta di funerali di Stato: Italia e Germania, guidate dai rispettivi presidenti della Repubblica, Sergio Mattarella e Frank-Walter Steinmeier, insieme alla premier Giorgia Meloni e al cancelliere Olaf Scholz.

Arriva papa Francesco sulla sedia a rotelle, si sistema davanti all’altare e alle 9.30 il rito comincia. «Padre, nelle tue mani consegniamo il suo spirito. Benedetto, fedele amico dello Sposo, che la tua gioia sia perfetta nell’udire definitivamente e per sempre la sua voce», dice Bergoglio al termine della breve omelia, ed è l’unica volta che pronuncia il nome del suo predecessore. I blog dei tradizionalisti non l’hanno presa bene: avrebbero voluto più parole per il papa emerito. Alle 10.45, dopo i riti finali della commendatio e della valedictio (ultima preghiera e ultimo saluto), il funerale è finito. Papa Francesco, svestito degli abiti liturgici, rende un estremo omaggio alla bara di Ratzinger. In piazza spunta uno striscione con la scritta «Santo subito» che qualche fedele urla a squarciagola. Ma anche qui nulla a che vedere con le decine di striscioni e i cori da stadio dei movimenti – dai focolarini ai neocatecumenali – organizzati al termine delle esequie di Wojtyla nel 2005.

La bara viene poi portata nelle grotte vaticane, sotto la basilica, incassata in un contenitore di zinco e poi in uno di noce, e tumulata nella tomba che fu di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, prima che i loro corpi venissero traslati a San Pietro in occasione delle rispettive beatificazioni.

Con la sepoltura di Ratzinger, inizia una nuova fase del pontificato di Bergoglio, che ora è l’unico papa, senza più la presenza dell’altro, emerito. E si aprono tre scenari.

Il primo, quello che pare decisamente il meno possibile, contempla le dimissioni di papa Francesco. Non che fino all’altro ieri non fossero formalmente praticabili, ma con Benedetto XVI ancora in vita difficilmente Bergoglio avrebbe rinunciato all’incarico, determinando così una compresenza di tre papi, due emeriti e uno regnante. Adesso, senza Ratzinger, l’eventualità torna attuale, ma sembra uno scenario fanta-vaticano più che una possibilità reale. Francesco infatti, nonostante la rivelazione di aver già consegnato (a Bertone) la propria lettera di rinuncia in caso di impedimento medico, non pare proprio che abbia in mente di dimettersi, perlomeno in tempi brevi: ha già programmato diversi viaggi apostolici in giro per il mondo, al quotidiano spagnolo Abc ha dichiarato che entro due anni una donna sarà nominata a capo di un dicastero e nel 2025 ci sarà il giubileo, per il quale sono già in corso i preparativi. Insomma salvo un reale aggravamento delle condizioni di salute, che ora si limitano a un problema al ginocchio (ma «si governa con la testa, non con il ginocchio», ha detto sempre Francesco ad Abc), le dimissioni non sono proprio all’ordine del giorno.

IL SECONDO SCENARIO, possibile ma poco probabile, riguarda l’esercizio del governo della Chiesa. Senza la presenza di Ratzinger, quasi sempre silenziosa ma comunque ingombrante per quello che rappresentava, Bergoglio si sentirà più libero di procedere spedito sul cammino delle riforme? È possibile, ma appunto poco probabile, perché giunto ormai al decimo anno di pontificato, è chiaro che il tema delle riforme strutturali non è proprio in cima al programma di Francesco, che invece è decisamente più proteso verso un aggiornamento pastorale e un riorientamento dell’asse della missione della Chiesa dal dottrinale al sociale. È indubbio però che se volesse premere l’acceleratore del riformismo, ora, senza l’ombra di Ratzinger, avrebbe meno condizionamenti.

Il terzo scenario, di segno opposto, appare invece come quello più probabile, anzi per certi versi già in atto. Ovvero che il blocco conservatore che si oppone a Francesco, rimasto orfano di Ratzinger che da un lato costituiva un punto riferimento ma dall’altro smussava con la sola propria presenza le opposizioni più aggressive, si senta ora libero di agire, di aumentare la pressione e moltiplicare gli attacchi a Bergoglio molto più di quanto abbia fatto in questi dieci anni di coabitazione dei due papi. Le dichiarazioni di Gänswein al quotidiano cattolico tedesco di area Opus Dei Die Tagespost nelle quali, facendo riferimento al motu proprio di Francesco che nel 2021 ridimensionò le celebrazioni delle messe in latino e secondo il rito preconciliare liberalizzate da Ratzinger, ha criticato Bergoglio (il provvedimento di Francesco «ha colpito molto duramente Benedetto XVI, penso che gli abbia spezzato il cuore») sembrano quasi una chiamata a raccolta degli antibergogliani. Così come il libro di Gänswein, che uscirà giovedì prossimo con Piemme, già dal titolo (Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI) e dalle anticipazioni di queste ore che puntano il dito contro Bergoglio sembra destinato a compattare le file e a fornire nuove armi agli oppositori di Francesco.