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Basma Abdel Aziz: «Black humour e distopia, la letteratura egiziana svela il volto dell’autorità»

Basma Abdel Aziz: «Black humour e distopia, la letteratura egiziana svela il volto dell’autorità»

L'Egitto dieci anni dopo Parla la scrittrice, psichiatra e attivista per i diritti umani

Pubblicato più di un anno faEdizione del 4 luglio 2023

Basma Abdel Aziz è una scrittrice, una psichiatra e un’attivista per i diritti umani. Vive al Cairo e negli ultimi anni ha pubblicato romanzi di grande successo (La fila, tradotto in italiano per Nero Editions, e Here is a Body) che trascinano in realtà distopiche, apparentemente impossibili da immaginare ma che sono lo specchio dell’Egitto di oggi e del suo sistema tentacolare di controllo sociale.

Com’è cambiata, dalla rivoluzione del 2011 e dal golpe del 2013, la letteratura egiziana e il suo modo di narrare le trasformazioni del paese?
La rivoluzione ha aperto spazi per molti percorsi narrativi, ha dato a scrittrici e scrittori lo spazio per esprimere pubblicamente le proprie emozioni, i sentimenti, la disperazione. Quanto accaduto dopo la rivoluzione ha riportato a pensieri nichilistici, rabbiosi, all’idea di non potercela fare. Il prezzo da pagare per gli egiziani, siano artisti, scrittori, politici, cittadini, è stato alto. Ancora oggi si scrive e si pubblica molto, ma con meno entusiasmo. Sono opere più riflessive.

Quindi quella spinta creativa nata con la rivoluzione di Tahrir è ancora viva?
Lo è, anche se cambiata: non è più quella che narrava di speranza, dignità e orgoglio. È un’onda letteraria di sarcasmo, black humour, appesantita dall’idea di essere manipolati dall’autorità, di essere profondamente presi in giro. Svela il modo in cui il sistema ha ridefinito la consapevolezza collettiva. Questa spinta non finirà, nemmeno con aggressioni e detenzioni.

I suoi sono romanzi distopici, un filone sempre più popolare in Medio Oriente per svelare le realtà dei paesi sotto regimi autoritari.

Il tema de La fila era diretto a tutti, aveva un significato più generale e simbolico: quello che accade con ogni dittatura nel mondo. Mi interessa, nei miei scritti, esplorare il modo in cui le figure autoritarie manipolano i popoli, ne controllano i comportamenti, ne cambiano le percezioni, li rendono obbedienti e facili da gestire. Provo a mostrare il volto disgustoso dell’oppressione e il vero significato, buio e diabolico, che sta dietro un linguaggio luminoso e subdolo.

Lei scrive di povertà, repressione, distanza del potere dal popolo, uso della religione per mantenere l’ordine sociale. Ma anche dei diversi strumenti usati per impedire ogni rivolta. Quanto il regime egiziano oggi è spaventato da una possibile sollevazione?
C’è una paura reale. La situazione socio-economica deteriora velocemente, l’inflazione cresce a livelli insopportabili, i salari della maggior parte delle classi sociali non bastano più a una vita dignitosa. La gente ha le spalle al muro. Penso sia solo una questione di tempo prima che le persone decidano di non accettarlo più.

Come scrittrice ma anche come psichiatra, può descriverci la psiche collettiva del popolo egiziano oggi. Una società dalle mille identità, ma è possibile individuare alcuni elementi comuni?
Non è facile descriverla. Di certo c’è un profondo e generalizzato scontento, c’è rabbia e c’è anche senso di colpa. Anche tra chi ha sostenuto questo sistema dal principio: una percentuale significativa gli ha voltato le spalle e alcuni lo confessano. Le persone si sentono intrappolate, non sanno quali scelte compiere né sono certe di avere delle reali prospettive per il futuro.

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