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Bashir prova a mostrarsi saldo al potere, ma le piazze in Sudan restano calde

Bashir prova a mostrarsi saldo al potere, ma le piazze in Sudan restano caldeOmdurman, 20 gennaio 2019 – Afp

Le proteste sociali non si placano I precedenti storici non fanno dormire sonni tranquilli al presidente, che è in carica da trent'anni. Ma secondo lo studioso dell'area Willow Berridge «il regime resterà in piedi finché avrà il sostegno diplomatico e finanziario degli alleati regionali»

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 23 gennaio 2019

In Sudan le proteste cominciate un mese fa contro il trentennale regime di Omar al-Bashir non accennano a placarsi. Ad oggi sono l’espressione della mobilitazione popolare più duratura da quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza nel 1956. La tensione si fa ogni giorno più alta: non si è instaurato alcun dialogo tra il governo e il movimento di protesta che, anzi, deve continuare a difendersi dalla solerte macchina repressiva. Ciò nonostante si svolgono quotidianamente molti cortei. Dalle aree rurali e dai centri urbani secondari, le proteste si stanno ora sviluppando presso Omdurman e Khartoum – la capitale – dove si concentrano i palazzi del potere.

La miccia della rivolta è esplosa lo scorso 19 dicembre ad Atbara quando la popolazione è scesa in strada per manifestare il proprio malcontento in seguito all’aumento del prezzo di pane e carburante. In pochi giorni le proteste si sono diffuse in tutto il Paese, tanto nelle grandi città come nei villaggi, connettendo un malessere diffuso che covava da ormai molto tempo.

L’economia del Sudan è in grande sofferenza: l’inflazione galoppante e il continuo deteriorarsi del valore della moneta nazionale non hanno solamente peggiorato la vita dei gruppi più marginalizzati, ma hanno intaccato fortemente anche il benessere della classe media urbana. Sebbene le mobilitazioni siano sorte a partire da una piattaforma di richieste economiche, come quella di ottenere sussidi statali per l’acquisto di grano, il movimento di protesta ha presto saputo ampliare i propri discorsi in senso esplicitamente politico. I sudanesi che scendono in strada reclamano la caduta del governo e lo fanno scandendo gli stessi slogan che risuonavano durante le Primavere arabe: «Vogliamo abbattere il regime!».

 

Comizio del presidente sudanese Omar al-Bashir sulla Green Square, nella capitale Khartoum, lo scorso 9 gennaio (Afp)

 

 

Il presidente Bashir rifiuta di dimettersi, ma per lui non sono giornate facili. La portata delle attuali proteste richiama infatti due avvenimenti del passato in cui le mobilitazioni seppero destituire dei regimi autoritari. Il riferimento è al 1964, anno in cui lo stato di agitazione del mondo universitario diede forma a un più ampio movimento di protesta capace di rovesciare in pochi giorni la dittatura militare di Ibrahim Abboud, e al 1985, quando in soli undici giorni le sollevazioni di popolo dovute al carovita costrinsero Jafar al-Nimeiri a dimettersi. Perché oggi, al contrario del passato, le proteste non riescono a ottenere un cambio di governo? Willow Berridge, docente ed esperto di storia del Sudan, ritiene che «sebbene le proteste siano ragione di molteplici preoccupazioni per Bashir, il suo regime continuerà a stare in piedi fino a che non verrà meno il sostegno finanziario e diplomatico degli alleati regionali che permettono al partito di governo e alle élite burocratico-militari di sopravvivere». Bashir Elshariff, dell’Università Islamica di Omdurman, aggiunge che «la difficoltà nel detronizzare il Presidente risiede anche nell’assenza tra i partiti dell’opposizione di leader riconosciuti – spesso riparati all’estero – capaci di rendere coesa un’opposizione molto frammentata».

Gli attivisti sostengono che i morti siano ormai cinquanta, mentre il numero degli arresti sarebbe poco inferiore a mille e comprenderebbe molti studenti dell’Università, giornalisti e medici, questi ultimi tra le categorie di lavoratori più agguerrite. L’Unione europea e le Nazioni unite hanno ufficialmente espresso i loro timori per quanto sta accadendo e hanno domandato al Presidente di concedere la libertà di dissenso. Se mai queste preoccupazioni sono state udite dall’establishment di Khartoum, certamente non sono state accolte. Negli scontri di piazza la polizia sta utilizzando non solo gas lacrimogeni, ma anche proiettili letali. Inoltre, in alcuni video pubblicati dagli attivisti sui social network, si vedono milizie senza uniforme entrare in case di privati, portati in strada, picchiati ed infine caricati su anonimi furgoncini diretti alle carceri.

In alcune occasioni pubbliche Bashir ha tentato di farsi vedere saldo al potere. In più città e villaggi sono stati allestiti dei palchi da cui il presidente ha parlato alla folla. I riferimenti alla situazione economica sono stati sempre pochi, mentre si sono sprecati gli appelli ad avere fede in dio e nel governo per un migliore futuro. Infine, non sono nemmeno mancate le accuse a (non meglio specificate) forze esterne promotrici dell’instabilità nel Paese. Se queste accuse hanno da un lato fatto sorridere chi protesta, dall’altro hanno permesso ai sostenitori del regime di bollare i manifestanti come traditori della patria.

 

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