Internazionale

Bashar Assad è in crisi, Pechino gli tende una mano

Bashar Assad è in crisi, Pechino gli tende una manoIl presidente siriano Bashar Assad

Siria/Cina Il presidente siriano ha incontrato Xi a Hangzhou per siglare il «partenariato strategico»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 23 settembre 2023

In linea con il ruolo che la Cina si è data in Medio oriente di dialogare e cooperare un po’ con tutti senza schierarsi, almeno non apertamente, Xi Jinping ha incontrato ieri a Hangzhou il presidente Bashar Assad e si è offerto di aiutare la ricostruzione della Siria nel quadro di un «partenariato strategico» che implica un più stretto coordinamento sugli affari regionali e internazionali. Una intesa importante sebbene sia uno scalino più in basso rispetto a quello che Pechino definisce un «partenariato strategico globale». «La Cina sostiene l’opposizione della Siria alle interferenze straniere e al bullismo unilaterale ed è disposta a continuare a lavorare con la Siria nell’interesse di una cooperazione amichevole e di salvaguardare l’equità e la giustizia internazionale», ha detto Xi ad Assad. I due leader hanno poi siglato un accordo di cooperazione, un memorandum per rafforzare le relazioni nello sviluppo economico e un’intesa per la realizzazione di un piano comune nell’ambito dell’iniziativa della nuova Via della seta (Belt and Road Initiative, Bri).

Ossigeno puro per il leader siriano che in Cina è arrivato lasciandosi dietro una situazione interna molto delicata. Nonostante il netto miglioramento dei rapporti con vari paesi arabi – a cominciare dall’Arabia saudita che negli anni passati ha provato a rovesciare Assad appoggiando i suoi oppositori islamisti – la Siria affronta una pesante crisi economica, aggravata dalle pesanti sanzioni Usa previste dal Caesar Act, sfociata negli ultimi mesi in ampie proteste nella provincia meridionale a maggioranza drusa di Suweida e, in misura minore, in altre zone del paese: migliaia di siriani hanno scandito slogan per la «caduta del regime» e la rimozione di Bashar Assad dal potere. Le manifestazioni sono state così partecipate da far immaginare a qualche osservatore una ripresa delle proteste che 12 anni fa fecero vacillare Assad. Nel 2011 il presidente siriano reagì ordinando una dura repressione che fece migliaia di morti, secondo i dati diffusi da ong per i diritti umani e gruppi dell’opposizione. La crisi sfociò in una guerra interna, tra pro e anti Assad, alimentata dagli interessi di vari attori regionali e internazionali, che ha fatto centinaia di migliaia di morti e offerto l’occasione ai jihadisti dell’Isis di proclamare, per alcuni anni, un emirato islamico in vaste aree del paese. Assad è poi tornato a controllare gran parte del territorio nazionale – grazie all’aiuto militare russo – ma la Siria resta sotto le sanzioni politiche ed economiche Usa e dell’Europa che impediscono la ricostruzione. Damasco perciò spera in generosi investimenti cinesi per riparare le sue infrastrutture e rilanciare l’industria. Si augura che i miglioramenti economici riescano a placare la disperazione di tanti cittadini siriani rimasti senza lavoro, senza medicine e in balia dell’elevato costo della vita aggravato dal crollo della valuta nazionale e dalla fine dei sussidi statali.

Xi che ha già siglato intese di grande rilievo con l’Iran e l’Arabia saudita – accolte con irritazione dagli Stati uniti –  è davvero pronto a sfidare le sanzioni internazionali e a spezzare l’isolamento in cui viene tenuta Damasco? I dubbi non sono pochi. Alcuni analisti credono che la Cina non assumerà impegni concreti in Siria, poiché qualsiasi investimento cinese o di altro tipo nel paese rischia di intrappolare un investitore nelle sanzioni statunitensi che possono congelare i beni di chiunque abbia a che fare con la Siria. Comunque andrà il «partenariato strategico» Cina/Siria segna un altro decisivo passo di Pechino in Medio oriente.

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