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Barca: «Ora un Cern anche per la salute»

Barca: «Ora un Cern anche per la salute»Un laboratorio di ricerca – LaPresse

La lezione del Covid L’appello del Forum Disuguaglianze e Diversità: un ente pubblico si occupi di farmaci e vaccini, oggi monopolizzati da Big Pharma. Anche se gran parte della ricerca è realizzata in ambito pubblico gli esiti vengono brevettati e si dà vita a una situazione di monopolio senza precedenti

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 14 luglio 2022

Si fa strada l’idea di un’infrastruttura internazionale rigorosamente pubblica dedicata allo sviluppo di vaccini e terapie, che liberi la ricerca scientifica dalla dipendenza dalle multinazionali del farmaco.

La proposta di un «Cern per la salute» è italiana ma piace anche in Europa. Su proposta della deputata Patrizia Toia, il Comitato per il futuro della scienza e della tecnologia del Parlamento europeo ne discuterà il 28 settembre.

In vista dell’appuntamento, il Forum Disuguaglianze e Diversità (Fdd) in cui è nata l’idea ha lanciato un appello a suo sostegno con prime firme di alto livello: ci sono il farmacologo Silvio Garattini, il direttore dell’Istituto «Mario Negri» Beppe Remuzzi, le ex-ministre della sanità Rosy Bindi e Giulia Grillo, organizzazioni come Medicina Democratica e l’associazione Medici per l’Ambiente.

Fabrizio Barca, foto LaPresse
Fabrizio Barca, foto LaPresse

Fabrizio Barca, ex-ministro e co-coordinatore del Fdd, non si fa pregare quando si tratta di spiegare le ragioni della proposta.

«Innanzitutto, dare risposta al problema del sottoinvestimento nello sviluppo di vaccini e terapie quando non è garantito un profitto sicuro. Andò così nel 2003, quando non si investì in un vaccino sulla Sars. Secondo: quando poi lo sviluppo viene fatto, gli esiti vengono brevettati nonostante gran parte della ricerca sia realizzata in ambito pubblico. Dando vita a una situazione di monopolio senza precedenti: vaccini da 1-2 euro a dose vengono comprati dallo Stato a 20 euro. È una tassa anti-concorrenziale che diventa debito pubblico a carico dei nostri figli. Infine, ci sono malattie rare o di origine genetica poco approfondite per mancanza di ritorni economici immediati. Serve un soggetto pubblico, visto che la ricerca pubblica rappresenta già il 70% della ricerca e sviluppo».

Che dimensioni avrebbe questa infrastruttura?

La scala adeguata è quella europea allargata a Regno Unito e Svizzera, Paesi che ospitano grandi competenze in questo campo. Sarebbe un’infrastruttura guidata dagli scienziati come avviene al Cern. Nella versione più ambiziosa avrebbe un costo simile a quello dell’Agenzia Spaziale Europea, circa 7 miliardi di euro l’anno. Una cifra che l’Europa si può permettere.

Quali sono le tappe?

Nel 2019 era già una delle 15 proposte del Forum per le Disuguaglianze e le Diversità. Si puntava all’accesso alla conoscenza come via di uscita dalle disuguaglianze. L’economista Massimo Florio e i suoi colleghi Chiara Pancotti e David Anthony Prochazka, ne hanno sondato la fattibilità con decine di esperti internazionali. Hanno scoperto che la proposta trova un forte consenso sulla sua sostenibilità finanziaria e organizzativa.

Come Forum l’abbiamo portata alle “Agorà” del Pd, insieme a una proposta di revisione dell’accordo internazionale “Trips” sulla proprietà intellettuale elaborata con l’economista Ugo Pagano.

La risposta politica finora è stata positiva. Abbiamo ricevuto l’appoggio di Letta, l’ex-ministra Giulia Grillo (M5S) ne ha fatto una mozione parlamentare in Italia e la deputata europea Patrizia Toia (Pd) ha ottenuto che il 28 settembre la proposta sia discussa dal Parlamento europeo. Di qui nasce l’appello di oggi, che come primi firmatari ha nomi di primissimo livello sia in ambito scientifico che politico.

Chi deciderà le priorità della ricerca, se non lo farà il mercato?

Dentro una simile struttura si creerebbe una sana concorrenza non sul piano economico ma su quello delle idee. Se fosse esistita ai tempi della Sars, gli scienziati avrebbero continuato a lavorare sullo sviluppo di un vaccino.

Si pensi a quello anti-influenzale somministrato ogni anno: la comunità scientifica lavora su diverse ipotesi, ne discute e poi, individuata la migliore soluzione, la produzione viene commissionata alle imprese che la producono a costi marginali.

Un modello simile potrebbe essere adottato anche in altri due settori strategici, come la transizione ecologica e la governance sui dati, altri due settori caldissimi.

Anche i parlamenti italiano e europeo hanno votato mozioni contro i brevetti sui vaccini, ma poi il governo italiano e la Commissione europea hanno agito diversamente. La proposta non avrà vita facile.

Gli avversari sono due: uno agisce sul piano economico e sono le aziende. Ma non tutte: quelle giovani e innovative avrebbero tutto l’interesse al libero accesso alla ricerca prodotta da un’infrastruttura di questo tipo. L’altro avversario è culturale, ed è penetrato all’interno della maggioranza della classe dirigente, convinta che non ci sia alternativa al monopolio della conoscenza.

Il premier inglese Boris Johnson una volta ha detto che «abbiamo i vaccini grazie al capitalismo e all’avidità». Disfare questo convincimento richiede lotta e conflitto: pensare che idee alternative sul futuro dell’Europa vengano adottate in maniera indolore è illusorio.

L’Italia sta investendo parte del Pnrr in un hub antipandemico a Siena. È la direzione giusta?

Sì, se diventa parte di un’operazione più forte a livello europeo. La nostra non è una proposta sovranista. Abbiamo bisogno di un vaccino pubblico, non necessariamente di un vaccino italiano.

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