Bangladesh, proteste studentesche: 64 morti
Bangladesh Si intensifica la repressione delle proteste contro il governo della prima ministra Sheikh Hasina. Aumentano i morti e i feriti, mentre vige un blocco quasi totale delle comunicazioni
Bangladesh Si intensifica la repressione delle proteste contro il governo della prima ministra Sheikh Hasina. Aumentano i morti e i feriti, mentre vige un blocco quasi totale delle comunicazioni
Dal Bangladesh, dove il governo ha imposto un blocco quasi totale delle comunicazioni, arrivano notizie intermittenti e drammatiche: continuano le proteste studentesche contro la reintroduzione della norma che prevede il 30% dei posti di lavoro pubblici agli eredi dei combattenti per l’indipendenza, ma esse assumono significati sempre più politici, di piena contestazione al governo della prima ministra Sheikh Hasina, la leader dell’Awami League che dal 2009 governa con mano autocratica il Paese da 170 milioni di abitanti. Continuano la repressione da parte delle forze di sicurezza e gli scontri con i manifestanti. E aumentano morti e feriti. Il bilancio è provvisorio, fonti diverse riportano numeri differenti, mentre i siti dei quotidiani bangladesi rimangono inaccessibili o fermi alle ore precedenti.
La censura digitale include anche i social: secondo il ministro delle telecomunicazioni Zunaid Ahmed Palak sarebbero stati «usati come strumento per diffondere voci, bugie e disinformazione». Per l’agenzia France Press, che si basa sugli elenchi degli ospedali, i morti di questi giorni sarebbero 64, perlopiù studenti. Solo ieri, 19. Gli scontri più significativi si sono registrati nella capitale Dacca, soprattutto nei quartieri settentrionali, a dispetto del bando della polizia di ogni manifestazione e assembramento. La violenza è cresciuta dopo la preghiera del venerdì, giorno di festa, tra attacchi hacker ai siti governativi e scontri di strada, dove sono dispiegate polizia, esercito, le forze paramilitari delle Guardie di frontiera e quelle del Battaglione di azione rapida, le famigerate Rab, prima addestrate poi sanzionate per abusi dal governo Usa, che invita alla moderazione e al rispetto delle libertà di manifestazione. Interrotte le linee ferroviarie e i trasporti sui bus sulle lunghe distanze, mentre nel distretto centrale di Narsingdi i manifestanti hanno preso d’assalto una prigione e liberato centinaia di detenuti.
Sheikh Hasina, figlia del padre della patria Sheikh Mujibur Rahman al quale si deve l’introduzione del sistema delle quote nel 1972 – da lei rimosse nel 2018 ma reintrodotte lo scorso giugno da una decisione dell’Alta Corte – ha provato a correre ai ripari. Giovedì in un discorso trasmesso dall’emittente statale Btv si è detta dispiaciuta per i morti, ha assicurato che giustizia verrà fatta e ha suggerito ai manifestanti di aspettare la decisione delle prossime settimane della Corte Suprema. Gli studenti, però, non si fidano di quella che considerano la principale responsabile del clima di paura e repressione nel Paese. La stessa donna che il 14 luglio ha gettato benzina sul fuoco chiamandoli traditori della patria. Così, la sede di Dacca della Btv è stata occupata e incendiata.
I portavoce del «movimento studentesco contro le discriminazioni» sostengono che il sistema delle quote sia ingiusto perché premia gli affiliati all’Awami League, il partito che si è fatto Stato occupando tutte le istituzioni. Da tre giorni chiamano al blocco totale del Paese e invocano quel ‘merito’ che verrebbe compromesso da corruzione e nepotismo.
Messo all’angolo dalla repressione giudiziaria e poliziesca nell’imminenza delle elezioni politiche dello scorso gennaio, il Bangladesh Nationalist Party (Bnp) cerca di cavalcare la protesta, che non è però eterodiretta. Dal suo esilio londinese, il portavoce del Bnp Tarique Rahman ha chiesto al popolo di sostenere «questi studenti dal cuore tenero». Per lui, «la caduta di Hasina, appesantita dai suoi peccati e dai suoi collaboratori corrotti e contrari ai diritti umani, è inevitabile». Non è ancora così. Ma Sheikh Hasina si trova ad affrontare la più profonda crisi politica dei suoi lunghi mandati. La Corte Suprema, molto sensibile come l’intero settore giudiziario alle posizioni dell’esecutivo, probabilmente considererà illecita la reintroduzione delle quote. Rimarranno però i nodi di fondo: l’ingiustizia e la disuguaglianza, la mancanza di ogni spazio per manifestare liberamente il dissenso, e – accusano le organizzazioni per i diritti umani – l’esercizio del potere istituzionale attraverso la violenza indiscriminata, inclusa quella della Chhatra League, la branca giovanile del partito di governo.
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