Mandare le bambine a scuola un anno prima perché siano più attraenti agli occhi dei futuri mariti. Non è la trama di un film distopico, ma la controversa proposta elaborata da un think tank governativo della Corea del Sud per affrontare il declino della natalità. Anche se è stato subito sommerso di critiche, il rapporto è cartina di tornasole dei toni assunti dal dibattito sui ruoli di genere nella società coreana.

«CONSIDERANDO che i maschi maturano più lentamente delle femmine, il fatto che le femmine si iscrivano un anno prima contribuirà a far sì che uomini e donne nella loro età ottimale (per il matrimonio) provino maggiore attrazione l’uno verso l’altra», scrive il ricercatore Chang Woo-hyun del Korea Institute of Public Finance (Kipf) sul mensile Public finance forum.

Secondo l’economista, per aumentare la proporzione di popolazione in età lavorativa la politica deve prendere misure che aumentino le probabilità di successo delle relazioni sentimentali. Il rapporto ha suscitato reazioni per il suo carattere discriminatorio ma, come riporta il Korea JoongAng Daily, non è la prima volta che il dibattito prende questa piega.

Nel 2009 l’amministrazione di Lee Myung-bak aveva proposto di anticipare l’età per iscriversi a scuola e poi nel 2015 il partito conservatore Saenuri aveva fatto lo stesso. Ma si trattava di proposte che dovevano consentire ai giovani di entrare prima nel mondo del lavoro, non di misure per favorire i matrimoni attraverso una non meglio comprovata correlazione tra iscrizione scolastica e vita romantica.

«Donne coreane: vogliamo avere figli, ma gli uomini devono fare di più in casa e il mercato del lavoro deve essere riformato in modo da essere compatibile con la domanda delle famiglie. Governo: Oh, faremo in modo che le ragazze vadano a scuola prima», è l’ironico tweet della sociologa Heejung Chung del King’s College che commenta il rapporto. Se il tasso di natalità della Corea del Sud è il più basso al mondo (0,72 figli per donna) è anche perché la vita di una madre lavoratrice è difficilmente sostenibile. Ma il governo, pur preoccupandosi del declino demografico, pare rifiutarsi di prendere in considerazione le soluzioni avanzate dalle donne coreane.

Non una svista, ma una scelta politica. Mentre l’economia nazionale si sviluppava e Seul diventava una potenza culturale e tecnologica, le donne sono rimaste indietro: pagate in media un terzo in meno degli uomini, non hanno accesso ai ruoli di potere nella politica e nei consigli di amministrazione (come riporta la Bbc, occupano solo il 5,8% delle posizioni dirigenziali nelle società quotate in borsa). Non vuol dire che non prendano parte al processo produttivo e alla macchina dell’economia coreana, anzi, ma devono anche sostenere il peso del lavoro domestico e di cura della famiglia.

NON SORPRENDE, quindi, che oggi in Corea si parli di «reboot del femminismo» o «popolarizzazione» del femminismo. A partire dalla seconda metà degli anni Dieci, dopo i movimenti #metoo che hanno scosso le fondamenta delle strutture patriarcali in tutto il mondo, anche le donne coreane si sono attivate per rivendicare il loro spazio nella società. La reazione della controparte non si è fatta attendere e sono aumentati i discorsi antifemministi, specie tra i giovani uomini. Il conflitto di genere ha pervaso a tal punto la società coreana da diventare uno dei temi principali alle elezioni presidenziali del 2022.

Il presidente Yoon Suk-yeol ha cavalcato il sentimento reazionario. Una volta entrato in carica ha eliminato le quote di genere nel governo, ha nominato solo tre donne nel suo gabinetto di 19 membri e ha dichiarato più volte che avrebbe abolito il ministero per l’uguaglianza di genere.

Come riporta il Guardian, Lee Jae-myung, leader del principale partito di opposizione, ha detto che con il rapporto del Kpfi il dibattito ha toccato livelli «assurdi». Lo stesso Kpfi ha in seguito preso le distanze dalle opinioni dell’autore. Seul dovrà comunque affrontare la sfida demografica, ma sembra che la società coreana stia sviluppando forti anticorpi contro le varie forme che l’ingiustizia di genere può assumere.