Balconi di donne in lotta
Argentina Protesta alle finestre nel paese latinoamericano, dove la quarantena moltiplica la violenza di genere: 18 femminicidi in 20 giorni. Il governo lancia una mail e coinvolge le farmacie. Ma non basta
Argentina Protesta alle finestre nel paese latinoamericano, dove la quarantena moltiplica la violenza di genere: 18 femminicidi in 20 giorni. Il governo lancia una mail e coinvolge le farmacie. Ma non basta
«La violenza di genere non va in quarantena». Con questo slogan si è accompagnato il ruidazo, l’azione lanciata il 30 marzo dal movimento femminista argentino Ni Una Menos insieme ad altre realtà femministe, per protestare da balconi e finestre contro la violenza che sta colpendo donne e persone della comunità Lgbtiq+ in Argentina.
«Facciamoci sentire! Che l’isolamento non ci neghi la lotta», hanno affermato le promotrici, riportando dati allarmanti: al momento del ruidazo, in dieci giorni – dal 20 marzo, primo giorno della quarantena legata al Covid19 – sono state uccise dodici donne.
Passata una settimana si contano già 18 vittime stando ai dati diffusi dall’associazione MuMaLa – Donne per la Matria Latinoamerica. Un’emergenza nazionale, come affermano i movimenti femministi.
Abbiamo raggiunto al telefono Veronica Gago, docente alla facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Buenos Aires e attivista di Ni Una Menos. «Il ruidazo è stato convocato da un giorno all’altro. Molte realtà hanno contribuito con proprie grafiche e slogan, segno che c’è la volontà di partecipare attivamente portando il proprio contributo. Certo, dobbiamo domandarci come rendere visibile la lotta, che in questo momento non può riversarsi nelle strade. Ma la quarantena non significa per forza isolamento: come far fronte dunque a questa mancanza di azione fisica? L’azione del 30 può essere un esempio».
Gago evidenzia come la violenza di genere sia legata alla violenza del sistema istituzionale ed economico: «Abbiamo di fronte uno scenario pesantissimo, con un forte peggioramento delle condizioni economiche di molte persone», afferma sottolineando alcune evidenze attuali: «Ci sono code lunghissime di fronte ai comedores e alle ollas populares (mense popolari) organizzate dalle organizzazioni di base, come sempre le prime ad attivarsi. Il governo ha promosso alcune misure di sostegno, tra cui un sussidio per i lavoratori cosiddetti informali, senza contratto. Si aspettava quattro milioni di domande: ne sono arrivate per ora 11 milioni».
Secondo Gago, questa situazione avrà conseguenze anche «sul piano delle violenze domestiche». E i movimenti femministi rifiutano di aspettare inermi il prossimo femminicidio. «Lo Stato deve avere come priorità la prevenzione delle violenze».
Le stesse istituzioni evidenziano un forte incremento delle denunce legate alla violenza di genere, in particolare tra le mura domestiche: il ministero per le donne, il genere e le diversità segnala un aumento del 25% delle chiamate al 144, il numero nazionale dedicato al problema. Solo nell’area della provincia di Buenos Aires, nella settimana dal 20 al 26 marzo le chiamate sono aumentate del 60%. Il 20 marzo sono state 41 le denunce nella capitale.
Data la situazione, il governo ha aperto una mail e attivato altri tre numeri raggiungibili tramite chat, misure prese dietro sollecitazione dei movimenti. «La quarantena aggrava le situazioni di violenza domestica, le vittime non hanno accesso alle proprie reti familiari e sociali», affermano le partecipanti de La Casa del Encuentro, che monitora i femminicidi in Argentina con l’osservatorio ‘Adriana Zambrano’.
«In un contesto come quello attuale, le donne che vivono situazioni di violenza se escono di casa rischiano il contagio, se restano a casa rischiano la vita. Il governo deve considerare questa situazione. È fondamentale pensare a strumenti di comunicazione virtuale».
Oltre ai contatti telefonici, dopo il ruidazo promosso dai movimenti femministi il ministero per le donne, il genere e le diversità ha lanciato, insieme alla Confederazione farmaceutica argentina un’iniziativa denominata barbijo rojo, letteralmente mascherina rossa: un nome in codice con cui donne e persone della comunità Lgtbiq+ possono rivolgersi a qualsiasi farmacia e sollecitare così aiuto.
«Una misura parziale – spiega Yanina Waldhorn, attivista di Abya Yala e della Campagna nazionale per l’aborto libero, legale e gratuito – Prima di tutto sono pochissime le donne in situazioni di violenza che possono spostarsi liberamente da casa. Inoltre non tiene conto delle vaste aree dove non ci sono farmacie. Infine, in questo modo le istituzioni lasciano la situazione in mano ai lavoratori, spesso precari e privi di formazione sulle situazioni di violenza, quindi incapaci di contenere le richieste di aiuto».
Secondo Waldhorn le misure governative evidenziano la mancanza di un piano nazionale contro la violenza di genere. Fa eco MuMaLa, che in una lettera indirizzata al presidente Fernandez afferma: «Accogliamo con favore le misure previste dal governo, ma di fronte a un’emergenza serve altro: rapide misure di protezione per le vittime e aiuti economici per le vittime e i loro figli».
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