Bahrain, detenuti politici attuano lo sciopero della fame
Manama La protesta è scattata per le terribili condizioni di vita nelle carceri speciali. Digiuna anche Abdulhadi al Khawaja, noto attivista dei diritti umani condannato all'ergastolo
Manama La protesta è scattata per le terribili condizioni di vita nelle carceri speciali. Digiuna anche Abdulhadi al Khawaja, noto attivista dei diritti umani condannato all'ergastolo
Oltre 800 prigionieri politici, tra cui il noto difensore dei diritti umani Abdulhadi al-Khawaja, gravemente ammalato, continuano lo sciopero della fame cominciato 23 giorni fa nel carcere di massima sicurezza di Jau e in altri centri di detenzione del Bahrain. Non ha dato risultati l’incontro che lunedì il ministro degli Interni, Rashid bin Abdullah Al Khalifa, ha avuto con i rappresentanti dei detenuti. I centri per i diritti umani denunciano che i prigionieri – molti in carcere dalla Primavera araba del 2011 – sono confinati nelle loro celle 23 ore al giorno, senza cure mediche e senza accesso all’istruzione, in condizioni disumane.
Secondo l’attivista Maryam al-Khawaja, figlia di Abdulhadi, gli alleati occidentali del Bahrein, compresi gli Stati Uniti, hanno a lungo trascurato le violazioni dei diritti umani nel paese, consentendo di fatto il verificarsi di tali abusi. «Non saremmo dove siamo se il governo non ricevesse il tipo di sostegno che ha dall’Occidente. È come se fosse in grado di evitare qualsiasi tipo di responsabilità internazionale per i crimini che commette», afferma. Maryam al Khawaja ricorda che nel 2011 suo padre fu picchiato fino a perdere i sensi davanti a lei e alla sua famiglia quando è stato arrestato.
La rivolta del 2011 è avvenuta mentre la famiglia al-Khawaja viveva in Bahrain, dove era rientrata nel 2001 dopo un periodo di esilio in Danimarca. Poterono tornare perché il governo aveva concesso un’amnistia generale, liberando tutti i prigionieri politici e favorendo così il ritorno di molti esuli. Poi sono dovuti fuggire di nuovo. L’attivista spera in un’altra amnistia generale perché teme che suo padre possa morire in carcere.
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