Il Ramadan non era ancora finito, mancava appena qualche ora all’inizio dell’Eid al Fitr, la festa che conclude il mese sacro dell’islam. Shengal se l’aspettava, un attacco su larga scala non appena terminato il digiuno. A nulla sono valsi gli svariati incontri avuti nei giorni scorsi a Baghdad tra esponenti dell’Amministrazione autonoma del distretto nord-occidentale iracheno e la sua autodifesa da una parte e rappresentanti del governo centrale dall’altra. Così domenica l’offensiva è partita.

SE GIÀ IL 19 E IL 20 aprile scorsi, la popolazione ezida di Shengal ne aveva avuto un assaggio (scontri a fuoco provocati da unità dell’esercito iracheno contro postazioni della difesa interna, le Asaysh, e di quella esterna, Ybs e Yjs), due giorni fa i militari iracheni hanno invaso il distretto con mezzi corazzati, tank, artiglieria pesante, elicotteri. Hanno circondato le postazioni dell’autodifesa in diversi villaggi ezidi, Dugure, Sinone, Khanasor, e si sono diretti verso il capoluogo al di là del monte, Shengal City.

Ieri gli scontri sono proseguiti, pesantissimi. L’esercito iracheno ha chiuso gli accessi al distretto e reso difficoltose le comunicazioni telefoniche, mentre colpi di artiglieria sventravano una scuola a Dugure e colpivano ripetutamente Shengal City. Dal cielo gli elicotteri hanno costantemente sorvolato le comunità ezide.

CHE HANNO REAGITO, come spesso accaduto in questi anni di attacchi ciclici: le donne sono scese in strada, dirette verso le postazioni delle Asaysh per difenderle con i loro corpi. Perché i ragazzi in uniforme delle unità nate dopo la liberazione dall’occupazione dello Stato islamico sono sono figlie e i figli, fratelli e sorelle, membri della comunità che dal massacro ha imparato che la sola possibile protezione è l’autodifesa.

Prima dall’Isis, cacciato armi alla mano dagli ezidi stessi con il sostegno dei curdo-siriani del Rojava e del Pkk dopo l’indicibile massacro perpetrato dagli islamisti nell’agosto 2014; ora dalle offensive dei governi regionali.

Insieme all’autodifesa la popolazione ezida ha dato vita a una forma di autogoverno ispirato ai principi del confederalismo democratico teorizzato dal leader del Pkk, Abdullah Ocalan. Da anni si autogestisce, cercando un riconoscimento ufficiale da Baghdad sulla base della costituzione irachena. La «risposta» era giunta nell’ottobre 2020 con il cosiddetto Accordo di Shengal, intesa bilaterale tra governo centrale e governo regionale del Kurdistan iracheno, sponsorizzato dalla Turchia, con l’obiettivo di disarmare gli ezidi e riportare Shengal sotto l’autorità piena dello Stato.

LA TENSIONE, dopo una serie di attacchi turchi via drone a dicembre e a febbraio, è tornata a salire a metà aprile insieme all’operazione militare di Ankara contro le montagne del nord iracheno, base militare e ideologica del Pkk.

Se in quell’occasione Baghdad ha alzato la voce e convocato l’ambasciatore turco per protestare contro la palese violazione della sovranità irachena, sul terreno di Shengal il governo (di fatto d’emergenza visto lo stallo seguito alle elezioni di ottobre 2021 da cui non esce alcuna maggioranza) sostiene la narrazione del presidente Erdogan e il mix di offensive combinate verso le diverse esperienze regionali del confederalismo democratico.

Una pressione che a Shengal si è tradotta anche nell’arresto e la sparizione di due giornalisti europei, la tedesca Marlene Forster e lo sloveno Matej Kavcic detenuti la sera del 20 aprile dall’esercito iracheno sulla strada per Shengal City e da allora nelle mani dei servizi segreti con l’accusa di sostegno al terrorismo.

«ABBIAMO PERSO centinaia di martiri per difenderci – ha detto ieri uno dei comandanti delle Ybs, Xebat Ereb – Abbiamo liberato questa regione con la resistenza. Diciamo al governo iracheno che questa guerra non beneficia nessuno».

Intanto, denunciano diverse agenzie curde, la Turchia starebbe trasferendo decine di miliziani islamisti dalla Siria dentro il territorio iracheno. In contemporanea, almeno duecento famiglie ezide dei villaggi colpiti dall’offensiva irachena sono fuggite verso Duhok, nel Kurdistan iracheno. Uno degli obiettivi della pressione: svuotare Shengal e far morire così l’autogoverno.