Se non fosse una sentenza costituzionale che ribalta la legalità dell’aborto negli Usa, la bozza filtrata dalla Corte suprema potrebbe essere un romanzo: la drammatica storia di milioni di non-nati, sterminati da un Erode in toga sulla base di una volontà omicida politico-giuridica lunga cinquant’anni.

IL TESTO FIRMATO dal giudice Samuel Alito è lungo 98 pagine, più o meno come Lo straniero di Camus o Cronaca di una morte annunciata di Garcia Marquez – che parimenti trattano di gente che muore.

Ma in questo «Thomas E. Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization» i defunti sarebbero molti di più. Figlio di due calabresi di Roccella Jonica emigrati nel New Jersey, il supremo giudice Alito riuscì ad andare a Yale e si laureò nel 1975, ossia due anni dopo la famosa sentenza Roe vs Wade che legalizzava l’aborto negli Usa.

E praticamente è da allora che lavora al romanzo, in buona parte occupato da una meticolosa ricostruzione storica di come l’aborto non sia mai stato un diritto costituzionale, anzi sia sempre stato un crimine, da ben prima di George Washington.

SFONDA una porta spalancata – da cinquant’anni l’aborto è considerato nel quadro delle intrusioni pubbliche alla «vita, libertà e proprietà» di una persona – ma la sfonda con dovizia di particolari: «Nel 1732 ad esempio – scrive Alito – Eleanor Beare fu arrestata con l’accusa di aver distrutto il feto nel ventre di un’altra donna, per quel crimine fu condannata a due giorni di gogna e tre anni di carcere».

Nel 1732? Gli Stati uniti non esistevano, nel 1732: è l’anno in cui Washington è nato. Era legale la schiavitù. Era un crimine la dissecazione di corpi umani, che oggi ci intrattiene su Csi. E infatti fiorivano i business di mammane, schiavisti e ladri di cadaveri.

La puntigliosa ricerca storica, che si completa con descrizioni granguignolesche su «medici che forniscono pozioni alle donne gravide» e «distruzione chirurgica di feti nel ventre delle madri» oltre un certo periodo di gestazione (quasi tutta roba sette-ottocentesca) serve a dimostrare che l’aborto non è «profondamente radicato nella storia e nella tradizione della nazione» – se lo fosse, potrebbe essere protetto dalla costituzione anche se non è citato, come accade ad altri diritti.

Invece «prima della fine del ventesimo secolo – scrive Alito – nella legge americana non esisteva alcun diritto costituzionale di ottenere un aborto. Zero. Nessuno», Non esisteva neanche il computer, ma provate a non considerarlo un diritto, oggi.

IL CONSERVATORE ALITO inserisce tra i suoi argomenti persino Ruth Ginsburg, la stella liberal della Corte suprema morta a fine 2020, che Trump sostituì a tempo di record con la giudice antiabortista Amy Coney Barrett, creando quella maggioranza di togati supremi che sta per cancellare l’aborto negli Usa.

«La sentenza Roe ha fermato il processo politico che muoveva verso le riforme – è la citazione di una Ginsburg del remoto ’92 – e con questo credo abbia prolungato le divisioni e ritardato uno stabile accordo».

Il romanzo di Alito contiene tutti i riferimenti della destra politica all’assalto dei diritti, una parabola iniziata con Reagan che tagliò i finanziamenti allo storico Programma internazionale di maternità pianificata (da allora lo fa ogni presidente repubblicano) e proseguita con Bush sr, un po’ peggio con Bush jr e in modo tremendo con Donald Trump.

L’obiettivo è rafforzare e poi raccogliere i consensi più radicali. Le conseguenze per milioni di donne, per milioni di famiglie, «non sono radicate nella storia e nella tradizione della nazione».