L’amore assume dimensioni e sfumature diverse scontrandosi molto spesso con i pregiudizi e le regole sociali imposte, come accade ai protagonisti di All the colours of the world are between black and white, opera prima del regista e sceneggiatore nigeriano Babatunde Apalowo, vincitore del Teddy Award alla scorsa Berlinale. Il film, visto in Italia al Bari International Gender Festival, segue con delicatezza ed empatia la storia di Bambino e Bawa che, tra le strade di Lagos, scoprono l’uno nell’altro un amore che va oltre l’amicizia, un rapporto ostracizzato e condannato con la pena di morte. Ma Apolowo va oltre il tema dell’omosessualità e costruisce, intorno ai due protagonisti, un mondo fatto di voci che raccontano i temi sociali della Nigeria in cui le donne chiedono la loro indipendenza e cercano la propria autodeterminazione.

Perché hai scelto di raccontare questa storia d’amore omosessuale, tema ancora molto difficile da accettare per molte società?
La scelta del tema è fortemente influenzato dal brutale linciaggio del mio coinquilino a causa del suo orientamento sessuale. Questo incidente scatenò dentro di me un cocktail di emozioni: dolore, rabbia e un ardente desiderio di capire perché esiste tale odio. Raccontare questa storia è diventato non solo un omaggio alla memoria del mio amico, ma anche un modo per offrire uno specchio alla società costringendoci ad affrontare le conseguenze di pregiudizi incontrollati e il devastante costo umano dell’intolleranza. Il film va oltre una narrazione sull’omosessualità, vuole ricordare che l’amore in tutte le sue forme merita di essere celebrato e non punito. La storia funge da catalizzatore per il dialogo, diventa una potente esplorazione delle complessità dell’esperienza umana, sfidando il pubblico a confrontarsi con i propri pregiudizi e preconcetti.

Il film è molto stratificato, sono presenti anche personaggi che non vediamo mai, come raccontano le voci off che circondano la casa di Bambino. Come hai lavorato alla costruzione di questi personaggi in rapporto alla linea principale del racconto?
Ci sono due livelli di questi personaggi invisibili: coloro che interagiscono direttamente con il personaggio principale, influenzando la trama e lo sviluppo dei protagonisti; e quei personaggi le cui voci non contribuiscono direttamente alla storia, ma fungono da specchi riflettendo i temi generali del film. Queste voci rappresentano le aspettative sociali, le norme e la coscienza collettiva che modella la vita degli individui. Incorporando queste voci, il film si espande oltre le esperienze immediate dei personaggi principali, illustrando le lotte e i preconcetti che gli individui affrontano quando le loro vite si discostano dalle norme sociali. In questo modo il film diventa un riflesso della condizione umana e delle dinamiche sociali più ampie.

La città di Lagos è un elemento importante in cui i due ragazzi si muovo per conoscersi. Come hai lavorato sugli spazi aperti contrapposti agli spazi chiusi dell’appartamento di Bambino?
Lagos non è semplicemente uno sfondo, ma un personaggio stesso del film. Il contrasto tra gli spazi aperti e l’appartamento chiuso di Bambino era intenzionale. Gli spazi aperti di Lagos simboleggiano la natura vibrante e imprevedibile della città e le sfide affrontate dai personaggi nella loro relazione. D’altra parte, l’appartamento chiuso di Bambino rappresenta le lotte interne e l’insicurezza con cui è alle prese. La giustapposizione di questi spazi migliora la narrazione, riflettendo sia le dimensioni esterne che quelle interne delle esperienze dei personaggi.

Oltre i due protagonisti incontriamo Ifeyinwa che cerca in tutti i modi una relazione con Bambino. Nell’arco di trasformazione della ragazza si legge il grande desiderio di emancipazione femminile dal matrimonio contratto per convenienza, ma soprattutto il desiderio di studiare e avere una propria visione nel mondo. Questo tema è legato alla situazione attuale delle donne in Africa?
Il personaggio di Ifeyinwa fa indirettamente luce sui temi legati all’emancipazione femminile e sulle sfide che le donne incontrano in Africa quando lottano per l’autonomia, l’istruzione e il perseguimento di una visione personale del mondo. Nel contesto del film, l’arco di trasformazione di Ifeyinwa risuona con il desiderio di emancipazione femminile dai matrimoni radicati nella convenienza, ma è importante notare che la storia di Ifeyinwa rappresenta solo un piccolo aspetto delle complesse esperienze che le donne in tutta l’Africa affrontano nella loro ricerca di empowerment e autodeterminazione.

In molte scene vediamo Bambino mangiare da solo anche quando Ifeyinwa li offre del cibo. L’unica persona con cui il protagonista mangia è Bawa; l’accettazione e l’amore per l’altro passa anche attraverso il cibo?
In Nigeria il cibo ha un significato culturale profondamente radicato, ogni piatto e il suo metodo di consumo possono avere significati diversi. Bambino che mangia da solo parla della sua solitudine e della sua natura introspettiva; non si tratta semplicemente di sostentamento, ma di una scelta per mostrare la sua indipendenza. Nella cultura nigeriana, si dice che la strada per il cuore di un uomo passa attraverso il suo stomaco e questa prospettiva illumina il motivo per cui Bambino rifiuta costantemente il cibo offerto da Ifeyinwa. Il film approfondisce anche le sfumature culturali del cibo come mezzo di connessione ed espressione. Man mano che la narrazione si svolge osserviamo una connessione più profonda tra Bambino e Bawa. Ciò viene sottilmente enfatizzato quando Bambino torna nel ristorante per ordinare lo stesso pasto che Bawa aveva scelto in precedenza, mostrando un legame che va oltre l’espressione verbale.

La produzione cinematografica in Nigeria è tra le più ricche al mondo. Come si è evoluto il cinema nigeriano e che direzione sta prendendo?
Le radici del cinema in Nigeria risalgono alla fine del XIX secolo quando i dispositivi per la visione tramite spioncino portarono la magia del cinema sulle coste nigeriane. Negli anni ’20 i registi coloniali producevano film con attori nigeriani, come lo storico Palaver. Gli anni ’50 videro il riconoscimento formale della Nigerian Film Unit a cui segui un’epoca d’oro del cinema. Tuttavia, quest’epoca dovette affrontare diverse sfide portando, negli anni ’90, alla nascita del fenomeno Nollywood che, girato in video e distribuito direttamente nelle case, ha democratizzato il cinema e rivoluzionato il settore. Oggi, il cinema nigeriano sta vivendo una crescita e un riconoscimento significativi a livello globale. I cineasti nigeriani stanno esplorando temi diversi contribuendo a una rappresentazione più sfumata delle storie africane sulla scena globale e collaborando con registi di tutto il mondo.

Lavori a nuovi progetti?
Sto sviluppando il mio prossimo film intitolato Londoner che approfondisce le complessità della migrazione, della famiglia e dell’impatto psicologico dello spostamento geografico. È un progetto personale che esplora temi inerenti allemie esperienze e quelle di molti altri che hanno affrontato le sfide e i trionfi dell’esplorazione di culture diverse. Siamo stati selezionati per partecipare al 21° Mercato di Co-Produzione della Berlinale. Questa opportunità ci consente di entrare in contatto con potenziali agenti di vendita e partner di coproduzione.